Esterno notte, ovvero la costruzione di un monumento civile

Giorgio Simonelli

Forse non stata una buona idea quella di proporre nella sale in un giugno caldissimo e ancora con l’obbligo delle mascherine più pesanti quel capolavoro di Esterno notte. Proprio non esiste altra definizione, un capolavoro; anzi qualcosa di più, un’opera eccezionale non solo per la qualità artistica ma anche per il suo valore civile, una sorta di monumento a cui dovrebbero rendere onore i cittadini italiani.

Partiamo dal primo aspetto, quello della qualità cinematografica che ancora una volta riesce a sorprenderci. Mi spiego: pur stimando, anzi amando per ragioni generazionali Bellocchio, non posso nascondere che l’ammirazione si mescoli alla sorpresa di fronte a un autore che superati gli ottant’anni sta vivendo una nuova giovinezza creativa. Credo non sia accaduto a nessuno dei grandi registi italiani, spesso coinvolti nella loro ultima produzione in circoli viziosi di ripetizioni o inutili stravaganze. Mi sbilancio consapevole di attirarmi gli strali di molti: né Fellini, né Antonioni, né Bertolucci hanno vissuto nella loro vecchiaia il momento magico che sta vivendo Bellocchio.

Dopo un lungo periodo in cui ha alternato opere interessanti ad altre senza mordente e assai prevedibili, ha messo in fila tre lavori tutti di altissimo livello (Il traditore, Marx può aspettare, Esterno notte) e ognuno originale, diversissimo dagli altri per tematica, formato e modalità produttiva e distributiva. Quest’ultimo aspetto era nel caso di Esterno notte particolarmente delicato, visto che non è un film ma una serie televisiva in sei puntate, un formato che richiede una strategia narrativa diversa da quella del film. Messo di fronte a questa situazione particolare e nuova, la regia di Bellocchio non si è per nulla omologata alle tendenze imperanti nella serialità televisiva, anzi ha accentuato la dimensione teatrale soprattutto nei monologhi e negli scontri verbali. Shakespeariano è un aggettivo che molti hanno usato per definire entusiasticamente l’esito della rappresentazione, la costruzione dei personaggi del film di Bellocchio. E non si tratta di un’iperbole: tutto nel film, la luce, la scelta dei piani e dei luoghi (le chiese in particolare), le parole scandite sono di una straordinaria potenza, costruiscono un’immagine di grandezza anche nella descrizione delle più terribili miserie. Esemplare, da questo punto di vista la figura di Francesco Cossiga.

E veniamo all’altro aspetto a cui si accennava, al valore civile, di monumento dell’opera. Sarebbe sbagliato cecare nel film un’analisi politica della vicenda, non è questa la funzione dei monumenti. Fin dall’inizio con la messa in scena dell’ipotetica sopravvivenza di Aldo Moro e della sua sconfessione della Democrazia Cristiana il film si allontana dalla linea dell’analisi storica. Nel mondo di Bellocchio esiste solo la grandezza umana, morale di Aldo Moro e dei suoi famigliari, la moglie Nora più di tutti grazie anche all’interpretazione di Margherita Buy. Il resto è il nulla, un deserto da cui non si salva nessuno.

Non certo i colleghi di partito, il Cossiga bipolare e opportunista, il cinico Andreotti, persino Zaccagnini che è tradizionalmente ricordato come esempio di correttezza e umanità assume nel film un ruolo positivo. E non lo fa nessuno dei rappresentanti degli altri partiti, né Craxi né un flebile Berlinguer. Velleitario e fallimentare appare l’impegno di un Paolo VI ormai segnato dalla malattia mentre un buio totale avvolge le menti e le scelte dei brigatisti: il drammatico confronto tra Adriana Faranda e Valerio Morucci in cui quest’ultimo confessa la sua totale sfiducia nella possibilità di una rivoluzione è di un’eloquenza straordinaria. Di fronte a tutto questo appare eroica, sublime l’umanità dei comportamenti di Aldo Moro e della sua famiglia, anche la semplice decisione di acquistare una tomba nel cimitero di un borgo di campagna o la sofferta coraggiosa scelta di Nora di fare una telefonata alla vedova di uno degli uomini della scorta.

Per questa sua dimensione non politica né storica ma di celebrazione, il film di Bellocchio dovrebbe assurgere al ruolo di rito civile condiviso. L’uscita nelle ha mancato l’occasione, ma la prossima programmazione nella vituperata televisione, se gestita a dovere, potrebbe ancora porre rimedio.

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