Il Napoli vince lo scudetto e si festeggia in tutto il mondo: non è solo calcio

Oscar Buonamano

Subito dopo il triplice fischio che ha ufficializzato la vittoria del quarto scudetto per il Napoli di Aurelio De Laurentiis e Antonio Conte, è iniziata la festa del popolo napoletano. A Napoli ovviamente, ma anche a Milano, a Londra, New York, in Canada, un po’ dappertutto perché un po’ dappertutto ci sono napoletani e italiani del sud, meridionali.

Questa felicità collettiva non è solo calcio, è appartenenza. Perché Napoli non è solo una città, ma è un modo di essere, di vivere. Di amare e di soffrire. D’intendere il mondo, perfino di parlare.

Un modo di essere, un’appartenenza che viene da lontano, da molto lontano.

Trentadue anni fa, nel 1993, gli Almamegretta pubblicarono la loro prima canzone, Siamo tutti figli di Annibale che farà parte del primo album del gruppo, Animamigrante.

Parlava di noi, di noi italiani. Da dove veniamo, dei nostri antenati. «Annibale sconfisse i romani/Restò in Italia da padrone per quindici o vent’anni/… Ecco perché/Molti italiani hanno la pelle scura/Ecco perché/Molti italiani hanno i capelli scuri/… Un po’ del sangue di Annibale/È rimasto a tutti quanti nelle vene […] Ecco perché/Noi siamo i figli di Annibale/Meridionali/Figli di Annibale, sangue mediterraneo». Parlava di noi italiani del nord, i settentrionali e di noi italiani del sud, i meridionali.

Noi, italiani meridionali, ci siamo sempre riconosciuti in Napoli e abbiamo sempre riconosciuto Napoli come punto di riferimento, luogo in cui tutto ha avuto origine. Origine in senso letterale, soprattutto se si legge la motivazione con cui nel 1995 il centro storico di Napoli è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. «Considerando che il sito è di eccezionale valore. Si tratta di una delle più antiche città d’Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo conserva gli elementi della sua storia ricca di avvenimenti. I tracciati delle sue strade, la ricchezza dei suoi edifici storici caratterizzanti epoche diverse conferiscono al sito un valore universale senza uguali, che ha esercitato una profonda influenza su gran parte dell’Europa e al di là dei confini di questa».

Il genius loci di Napoli è il suo centro storico dal quale ha tratto ispirazione tutto il mondo, è scritto nella motivazione dell’Unesco. E tutto questo accade da almeno 2500 anni, gli anni che Partenope festeggia nel 2025.

Per queste ragioni Napoli è una città nata capitale e che capitale, nonostante i tentativi di renderla marginale, resterà per sempre. Secoli di storia che l’hanno vista primeggiare in tutte le attività dello scibile umano hanno sedimentato nel corso degli anni saperi e conoscenze che hanno generato tante cittàtutte racchiuse una dentro l’altra. Città che convivono a fatica, spesso in antitesi tra loro. Città popolate da una fauna umana che ha pochi eguali al mondo. Un popolo, quello napoletano, che rappresenta e svela le contraddizioni con le quali siamo costretti a convivere ogni giorno. Alto e bassoColto e ignoranteBello e bruttoEducato e maleducatoLegale e illegaleConsapevole e inconsapevole. Una capitale unica e generosa, come unici sono i tanti talenti che la città da sempre genera. Talenti che proprio dalle contraddizioni insite nelle tante Napoli presenti una dentro l’altra attingono energia e idee che si esprimono, esaltandosi, in vari campi della cultura, dell’arte, dei mestieri e delle professioni.

Unico è stato Eduardo De Filippo, così come unico è stato Massimo Troisi. Unico e inimitabile è stato Pino Daniele. Unico è stato Roberto De Simone. Unica è stata Matilde Serao. Unico è stato Raffaele La Capria. Unica è Elena Ferrante. Unico è Paolo Sorrentino.

Tutto ciò che riguarda Napoli riguarda e interessa il mondo vale per il teatro, per il cinema, per la musica. E da quando Diego Armando Maradona, il più grande calciatore di tutti i tempi, ha vestito la maglia azzurra, vale anche per il calcio.

Pier Paolo Pasolini, in un’intervista diventata storica, concessa a Guido Gerosa e pubblicata sull’Europeo il 31 dicembre del 1970, diceva questo a proposito del gioco del calcio. «Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro. Il cinema non ha potuto sostituirlo, il calcio sì. Perché il teatro è rapporto fra un pubblico in carne e ossa e personaggi in carne e ossa che agiscono sul palcoscenico. Mentre il cinema è un rapporto fra una platea in carne e ossa e uno schermo, delle ombre. Invece il calcio è di nuovo uno spettacolo in cui un mondo reale, di carne, quello degli spalti dello stadio, si misura con dei protagonisti reali, gli atleti in campo, che si muovono e si comportano secondo un rituale preciso. Perciò considero il calcio l’unico grande rito rimasto al nostro tempo. Il calcio come ultima rappresentazione sacra del nostro tempo».

Le feste che si stanno celebrando in tutto il mondo per onorare la vittoria del quarto scudetto del Napoli sono tutto questo. Non è solo calcio, è appartenenza.

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