La 7 e l’identità culturale di una rete televisiva

Giorgio Simonelli

Dalle presentazioni dei palinsesti delle reti generaliste non sono emerse particolari novità. Qualche aggiustamento, qualche ridimensionamento, qualche inserimento, il tutto in una dimensione di  grande prevedibilità. Anche le polemiche che sono seguite non si sono discostate da questa linea.

Qualcosa di interessante è arrivato da La 7 e dai commenti riguardanti le sue scelte che hanno infastidito alcuni politici della maggioranza e alcuni giornalisti della stampa governativa. In realtà, al di là delle banali polemiche sull’opportunità di condurre un programma sulla mafia da parte di un procuratore che la conosce bene, le scelte di La 7 meritano un paio di considerazioni.

La prima riguarda il suo telegiornale, anzi più precisamente la direzione e la conduzione dell’edizione principale. La conferma di Enrico Mentana, dopo che erano circolate voci di un suo abbandono in seguito a un risentimento per la presenza assidua sulla stessa rete di un giornalista un po’ troppo critico nei suoi confronti, è un fatto significativo. Non solo per quello che Mentana è, per la sua personalità, il suo carisma, e non solo per il rilievo di un format, le cosiddette  maratone che si identificano con la sua figura, ma soprattutto per quello che Mentana fa, nell’ambito del Tg.

In quest’ultimo ventennio in cui i telegiornali di tutte le reti si sono appiattiti su un unico modello enunciativo, quello cosiddetto oggettivo, che si basa sulla proposta di immagini speculari dei fatti e degli oggetti del discorso, il Tg di L7 ha tenuto in vita un modello alternativo che tanta gloria ha avuto nel passato del servizio pubblico e che da tempo è stato abbandonato. Si tratta del modello interpretativo che presenta quel complesso prodotto informativo che è il tg non come la realtà ma come frutto di una lettura della realtà in cui sono decisivi i punti di vista, le scelte dei soggetti informatori  e l’ordine e la gerarchia delle notizie sono esito del lavoro giornalistico.

L’originalità e la credibilità del Tg7 risiedono nell’adozione, ormai rarissima, di questo modello tanto prezioso quanto delicato la cui sopravvivenza non sarebbe facile senza il suo artefice.

Una seconda considerazione riguarda invece le novità, gli arrivi di personaggi come Saviano e Gratteri che già hanno fatto discutere. Ma il punto più interessante non è quello politico, quello dello schieramento della rete da una parte. (Tra parentesi poiché lo schieramento di Saviano è contro la camorra, chi contesta questo suo schieramento evidentemente si schiera a difesa della camorra…).

Chiusa la parentesi, torniamo all’altro punto più significativo. L’inserimento di queste figure e dei temi che si possono prevedere al centro dei loro programmi ha un sicuro effetto, quello di rafforzare l’identità della rete, di ribadire la sua linea editoriale di punto di riferimento per chi desidera un approfondimento, un confronto diretto, una visione critica dell’attualità e diversa dalle versioni ufficiali e propagandistiche.

Benché, come ha riconosciuto lo stesso presidente dell’azienda, non manchino nella programmazione alcune situazioni critiche  nella fascia preserale o nelle serate festive, quelle che richiedono uno spazio di intrattenimento, la rete sembra aver scelto di rafforzare i suoi punti di forza piuttosto che colmare le lacune.

Questo aspetto non è una bizzaria. Siamo in un’epoca in cui le reti televisive non hanno un’identità culturale. Non la cerca la Rai che ha scelto di rinunciare alle direzioni di rete per strutturare organigrammi orizzontali, comparti di genere; non la insegue neppure Mediaset, tranne che per il caso forse un po’ fortuito di Retequattro. In un panorama  di questo tipo, la presenza di una rete con una forte riconoscibilità, non un all news ma di certo un’emittente costruita attorno all’informazione, alla creazione di un’opinione pubblica e a una spiccata sensibilità culturale può essere un motivo di attenzione e prestigio. Non una sostituzione del servizio pubblico, come molti si affannano a insinuare o negare, ma qualcosa che ha a che fare con la cittadinanza.

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