La pace non si arma: da Spinoza a Caracciolo, il coraggio di disobbedire

Da Spinoza a Gandhi, fino a Lucio Caracciolo, contro l’antico e attuale paradigma del preparare la guerra

Oscar Buonamano

Giorgia Meloni, in Parlamento, cita il motto latino Si vis pacem, para bellum e dichiara di pensarla come gli antichi romani. L’espressione, attribuita al funzionario imperiale Vegezio, compare nel III libro del suo Epitoma rei militaris, redatto tra la fine del IV e l’inizio del V secolo dopo Cristo. La formulazione esatta è: Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum.

Dunque: chi desidera la pace, prepari la guerra.

Il senso complessivo è chiaro: la pace si garantisce solo mostrandosi forti e minacciando la guerra. Una tesi che da secoli trova il favore di statisti e leader politici, e che oggi risuona nelle parole della presidente del Consiglio italiana. Ma è davvero preparando la guerra che si garantisce la pace?

Nel corso dei secoli, molti pensatori hanno messo in discussione questa affermazione, opponendole riflessioni, a volte, radicalmente diverse. Controcorrente, con il coraggio di disobbedire all’opinione prevalente, spesso isolati, hanno sostenuto che la pace non si costruisce sulla minaccia, ma sulla giustizia, la libertà e la cooperazione.

Da Spinoza a Gandhi, da Tolstoj a Russell, fino alle recenti affermazioni del direttore della rivista Limes, Lucio Caracciolo: tutti offrono riflessioni che si oppongono radicalmente al pensiero di Vegezio.

La pace secondo Spinoza è una virtù, non una tregua armata. Respinge l’idea che la pace possa essere mantenuta attraverso la forza. La pace non è una semplice assenza di guerra, ma un assetto duraturo fondato su razionalità, giustizia e libertà. «La pace non è l’assenza di guerra, ma una virtù, uno stato d’animo, una disposizione alla benevolenza, alla fiducia, alla giustizia». Un processo, un modo di essere e di vivere. Nel suo Trattato politico, afferma che la sicurezza di uno Stato nasce dalla forza delle istituzioni giuste che favoriscono la partecipazione dei cittadini liberi. E dunque preparare la guerra, secondo questa visione, compromette la pace ancor prima di costruirla.

Tolstoj radicalizza la riflessione e condanna ogni forma di violenza, anche quella che serve per difendersi. Propone la nonviolenza come legge morale universale. Propone l’obiezione di coscienza, il rifiuto attivo e personale della guerra, «Non vi è che un modo per distruggere la guerra: rifiutarsi di parteciparvi». La sua è un’etica radicale della nonviolenza che rifiuta le logiche del potere armato. Una scelta estrema, ma profondamente coerente con la visione di una pace fondata sul valore assoluto della vita.

Mahatma Gandhi propone satyagraha, la forza della verità, una trasformazione in proposta politica del pensiero di Tolstoj. La sua è nonviolenza attiva, non remissiva. Il satyagraha è lotta, ma capace di disarmare il nemico senza sparare un colpo, «La vera pace non è l’assenza di tensione; è la presenza della giustizia». Mettendo sé stesso e il proprio corpo a testimonianza delle sue idee, dimostra che la nonviolenza non è un’utopia, ma uno strumento efficace per trasformare il corso della storia. Trasformare la forza in responsabilità etica e strategica.

Facendo un salto in avanti nel tempo e ragionando sull’utilizzo della bomba atomica nella Seconda guerra mondiale, Russell ed Einstein sono protagonisti di un messaggio radicale: la sopravvivenza dell’umanità dipende dal superamento della logica militare. Russell sostiene, «La guerra non determina chi ha ragione, ma solo chi resta», mentre Einstein, «La pace non può essere mantenuta con la forza. Può essere raggiunta solo con la comprensione». Entrambi gli studiosi chiedono meno nazioni armate, più governi cooperanti.

Una visione in netto contrasto con quella sostenuta dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che dopo la citazione di Vegezio ha precisato, «Noi sappiamo che la pace è deterrenza. Se si hanno dei sistemi di sicurezza e di difesa solidi, si possono più facilmente evitare dei conflitti».

Bertrand Russell e Albert Einstein furono promotori del Manifesto Russell-Einstein, controfirmato da altri scienziati e intellettuali di primo piano, Percy W. Bridgman, Leopold Infeld, Frédéric Joliot-Curie, Herman J. Muller, Linus Pauling, Cecil F. Powell, Józef Rotblat, Max Born, Hideki Yukawa, che fu presentato a Londra e in quella occasione Józef Rotblat, che aveva partecipato al progetto Manhattan (il programma di ricerca che determinò la costruzione delle prime bombe atomiche durante la seconda guerra mondiale) ebbe a dire: «Fine modulo

Ricordatevi della vostra umanità, e dimenticate il resto».

Una lezione da non dimenticare, proprio ora che i venti di guerra soffiano minacciosi su di noi.

Un testimone raccolto oggi da Lucio Caracciolo, «La deterrenza non funziona più: non siamo ai tempi della Guerra fredda, l’America stessa non fa più paura a nessuno». Non fa più paura nemmeno la minaccia nucleare. Per queste ragioni sostiene che l’unica strada percorribile è quella di preparare la pace, non sul piano bellico, ma su quello diplomatico. Aprire negoziati, anche segreti, tra le parti in conflitto. Pensare la pace come strategia non come risultato o premio finale. «Preparare la guerra significa ormai solo prolungarla. La vera sfida è preparare la pace, anche quando sembra impossibile».

Preparare la guerra è facile, non richiede particolari abilità. Preparare la pace è difficile, ma è l’unica sfida degna di un’umanità consapevole.

Vuoi davvero la pace? Allora, prepara la pace.

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