La domanda pressante sull’odierna letteratura riguarda il suo ruolo, se è ancora lo specchio della società o ha deviato la nostra civiltà da saperi e contenuti universali e fondanti. Il nostro mondo letterario, intimidito dalla concretezza degli eventi, è sconnesso dal passato.
Dopo 3000 anni, la letteratura è in crisi e l’epos tramandato è stato cancellato. Ci troviamo di fronte a un mondo letterario in cui non solo mancano le idee ma dove realtà e immaginazione non si sovrappongono, non sono protagoniste e non per colpa della cibernetica né tantomeno dell’IA. Scopriamo che manca un pensiero che trascini la lingua in luoghi mai visitati per ristabilire una connessione tra la realtà e il proprio tempo, ora così distanti.
Ci chiediamo se la letteratura possa tornare a rappresentare ciò che è sempre stata, cioè un filo connettivo tra i lettori e la società. La verità della nostra realtà storica sarebbe incoraggiante e scalfirebbe la disinformazione e l’indolenza per ciò che oggi sembra non riguardarci.
Più che di alta e bassa letteratura, come l’ha definita Umberto Eco che fa dire al personaggio Jacopo Belbo, ne Il pendolo di Foucault, «la cattiva letteratura non redime», si tratta di letture inutili.
È dello scrittore tedesco, naturalizzato americano, Charles Bukowski, con il suo ultimo romanzo Pulp, pubblicato postumo nel 1994, l’esempio esatto che ha voluto dedicare alla cattiva scrittura. Bukowski in uno stile inviolato crea il mito dell’eroe negativo in una società che è morta, dove l’individuo è fuori le rime. Pulp è un romanzo irriverente di scrittura definita zero che narra il peggio di un essere umano attraverso il personaggio di Nick Belane, investigatore privato di Los Angeles, cinquantacinque anni, tre divorzi, dedito alle scommesse e alle truffe, individuo volgare che bestemmia, ubriacone e fuori le righe, sovrappeso, squattrinato, alcolizzato. Sullo sfondo, l’atmosfera untuosa della Los Angeles estiva degli anni Novanta, violenta, dove vige ogni sorta di bruttura umana e dove si muovono personaggi votati alla sconfitta, uomini perseguitati dalla sfiga, razzisti e sessisti per i quali la vita è un’evasione.
Il romanzo è rivolto ad un vasto numero di lettori, alla cultura di massa, ma è soprattutto una feroce critica alla società interessata ai sentimenti superficiali.
Bukowski aveva anticipato i tempi. Pulp è la critica alla modernità, alla vendita a basso prezzo degli ideali, alle opere che, come sottolinea Bukowski, si leggono senza impegno, mettendo in guardia su ciò che la letteratura avrebbe potuto diventare. Bukowski ha voluto evidenziare che l’inutile in letteratura dipende dalla poca criticità del lettore e dal suo disinteresse per una discussione costruttiva.
Il critico letterario Harold Bloom nelle sue agudeza ha stroncato senza appello la «letteratura spazzatura», esprimendo un’opinione radicale sulla letteratura che non ha la sua dimensione sociale e che ha perso l’umanità. Per Bloom la grande letteratura ha regole che il lettore intercetta e che lo proiettano nell’incanto e nei fantasmi dell’animo umano.
Lo scrittore Italo Calvino nelle sue Lezioni americane ci introduce alla lettura da lui preferita e ci fa nel contempo da guida. Un testo straordinario che diventa anche un invito alla lettura, su un inesauribile sfondo del vissuto che tocca le tematiche più disparate della vita.
La lettura attrae per la percezione e l’intesa con i tempi, attualità, passato e futuro, nel senso di eredità letteraria, quella persa e quella che sarà, come pure avviene nei Quattro quartetti di T. S. Eliot, che torna nel paese dei suoi antenati inglesi, ispirazione di luoghi, stagioni e potente parola poetica che tutto trasforma.
La critica alle letture inutili non è rivolta né al romanzo crime story, né ai romanzi rosa né tantomeno riguarda i personaggi negativi. È piuttosto l’interruzione dell’intima connessione con l’umanità più profonda. Il rispetto verso ogni forma di scrittura è anche riconoscere quello che letteratura non è.
La letteratura deve essere rivolta all’eredità del pensiero umano e alla sua persuasività, non solo come culto, ma anche come utilità. In sostanza, l’eredità del pensiero umano e il mondo visionario che ne scaturisce sono parte integrante della realtà, l’una si riflette nell’altra, in ogni epoca. Nella nostra, dilaniata dai conflitti, la realtà ha preso anche lo spazio della creatività.
Ai rassegnati lettori di inutili letture è da menzionare l’epigramma di Giovanni di Carlo Strozzi, che dopo aver visitato la scultura per le Tombe Medicee di San Lorenzo, scrive «fu da un Angelo scolpita», ricevendo in risposta la dedica in versi di Michelangelo, «deh, non mi destar, parla basso».
Più che mai, nella storia della letteratura, siamo chiamati a raccontare la nostra storia che è complessa, ma che ci appartiene e di cui siamo diretti testimoni, invocando, come suggerisce Bloom, «il trascendente e lo straordinario». Salviamo la letteratura dalla noncuranza e dalla disattenzione.
Salviamo prima di tutto la narrazione e la lingua in cui la semantica è prioritario valore di una visione che esuli dalla logica esclusiva del successo commerciale. Le parole di Dostoevskij, sulla bellezza, pronunciate dal principe Miškin ne L’idiota, in quel mondo hanno significato la speranza. La parola del romanzo contemporaneo è empatizzare, per recuperare la sua dimensione sociale, non solo come culto ma come utilità.
Per chi volesse approfondire
Harold Bloom, Il genio, BUR, Milano 2002
Charles Bukowski, Pulp, Feltrinelli, Milano 1995
Italo Calvino, Lezioni americane, Garzanti, MIlano 1988
Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, Bompiani, Milano 1988
