Si rinnova a Superga la magia del Grande Torino

Darwin Pastorin

Ieri, 4 maggio 2025, il popolo granata si è ritrovato, tra emozioni nostalgia e passione, per ricordare il Grande Torino, scomparso il 4 maggio 1949 nel rogo di Superga: se ne andavano, giovani e belli, come gli eroi epici, i migliori calciatori del mondo, passando dalla cronaca al mito, sconfitti soltanto dal fato.

Sono stati momenti intensi, con più di ventimila persone che, in mattinata, hanno dato vita a un corteo per il centro storico, dimostrando che, pur tra le contestazioni al presidente Cairo e le tante, troppo amarezze delle ultime stagioni, esiste un legame unico, che resterà per sempre, in un infinito passaggio di consegne generazionale, che parte dal pomeriggio della tragedia a un amore che è sangue, radice, Epifania, archetipo.

Valentino Mazzola e gli altri invincibili rappresentano un punto di memoria e uno sguardo al futuro.

Poi, tutti a Superga per rendere omaggio ai caduti in «quel giorno di pioggia»: con Claudio Sala, il poeta della squadra a che nel 1976, all’insegna del tremendismo, la definizione è di Giovanni Arpino che al «Me grand Turin» ha dedicato, in dialetto piemontese, la più bella e intensa poesia sul calcio, conquistò il primo scudetto, e per ora unico, del dopo invincibili, che ha letto il nome dei fuoriclasse, dei dirigenti, dei giornalisti e dei membri dell’equipaggio uniti, in quel 4 maggio, da quel terribile destino.

E ha compiuto quell’appello anche l’attuale capitano dei granata, Duván Zapata.

Sempre a Superga è andato, con una delegazione del Venezia, prima della partita pareggiata con il Toro 1-1 il giorno prima, l’allenatore Eusebio Di Francesco, uomo di cultura e sensibilità, che ha detto: «Non ero mai venuto, qui sulla collina, e da uomo di sport non potevo non compiere un gesto dovuto. Ho veramente capito il significato della fede torinista, del cuore granata. Quell’immenso rispetto e legame che unirà per sempre quei campioni a questi sostenitori».

La sera, a Nichelino, teatro Superga, per una iniziativa fortemente voluta dal sindaco Tolardo, è andato in scena, tra applausi e commozione, Il Grande Torino, scritto da Gianfelice Facchetti e dal bravissimo Marco Bonetto, collega di Tuttosport, e magistralmente interpretato da Gianfelice Facchetti, il figlio dell’indimenticabile Giacinto, cresciuto con il mito di Maroso, accompagnato sul palco da tre musicisti semplicemente straordinari.

Lo spettacolo è finito tra musica e balli e canti: perché quei ragazzi in granata, con i loro successi, la loro poesia e il loro carattere sui campi di calcio, hanno aiutato l’Italia a uscire dall’incubo dalle ferite, dall’orrore di una guerra assurda e di una dittatura vergognosa. Capitan Valentino e compagni vincevano danzando, portando orgoglio e allegria. Ed è così che ogni 4 maggio si ripete, tra lacrime e abbracci, un rito diventato sacro. Il Grande Torino ci ha lasciato questa eredità: il diritto al sogno e all’utopia. E Gianfelice ha fatto bene a ricordare Gianpaolo Ormezzano, narratore impareggiabile di quella storia diventata Storia.

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