L’Europa che piace

Gigi Riva

C’è un passaggio memorabile nel Galileo di Brecht che è la metafora insuperata del pregiudizio. Lo scienziato dice agli inviati del Sant’Uffizio: «Sarebbe bastato guardare nel cannocchiale».

Si erano rifiutati, avrebbero visto le lune di Giove cioè la prova che la terra gira attorno al sole e non viceversa.

Il cannocchiale contemporaneo è quello con cui si possono osservare i cambiamenti dell’Unione europea e sul quale gli irriducibili avversari di Bruxelles (in Italia, per esemplificare, Giorgia Meloni e Matteo Salvini) si ostinano a non voler posare gli occhi. Per poter reiterare la loro propaganda distruttiva nei confronti dell’istituzione sovranazionale e poterne ricavare un dividendo politico a buon mercato. Sparare sulla UE è il loro sport preferito, la stagione venatoria contro i burocrati sempre aperta anche a dispetto di ogni evidenza. Per sfruttare la cattiva fama passata di inefficienza, rigidità, chiusura che portò ad aggravare la crisi greca. Era dieci anni fa, i ritardi nell’intervento a causa delle elezioni nel Nord Reno-Westfalia, che la cancelliera Angela Merkel voleva affrontare senza l’accusa di aiutare i Paesi cicala del Mediterraneo a spese del contribuente tedesco, resero la situazione catastrofica ad Atene e dintorni.

Dieci anni, però, non sono passati invano. Anche grazie, c’è da ammetterlo, a una pandemia che è problema comune e non fa distinzioni tra l’Europa del vino e l’Europa della birra. É vero che agli esordi del coronavirus, quando sembrava che il morbo fosse un problema solo italiano o quasi, alcune prese di posizione pubbliche sciagurate di Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, e di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, avevano provocato sconcerto e il timore che saremmo stati lasciati soli, senza quella solidarietà continentale auspicabile tanto più per un evento in cui non si poteva condannare una certa nostra disinvoltura nell’uso della finanza pubblica. Ma è altrettanto vero che, tra scuse e correzioni di rotta, l’atteggiamento è poi cambiato sino ad assistere a una svolta epocale, forse un passo in avanti nella costruzione rimasta incompiuta di una casa comune del Vecchio Continente.

Non si può altrimenti definire la decisione storica di un indebitamento comune per 1000 miliardi di euro (mille miliardi!) da destinare alla ricostruzione, cosa che era esplicitamente vietata dai trattati, mettendo fine all’austerità e ai paletti sui disavanzi e sul debito. Né si possono liquidare come una mancia i 100 miliardi di euro (cento miliardi) stanziati per una copertura paneuropea della disoccupazione, l’inizio di un welfare condiviso. E infine non si può demonizzare quell’acronimo, Mes (Meccanismo europeo di stabilità) memori di come funzionava in passato senza valutare che è stato completamente rivisto e ci permetterà di usare da subito 36 miliardi per migliorare la nostra sanità grazie a un linea di credito con maturità molto lunghe e a un tasso dello 0,3 per cento. Su quest’ultimo tema i due campioni nostrani del sovranismo sono spalleggiati da una parte del Movimento 5 Stelle e tutti insieme adombrano l’incubo che il Paese sia messo sotto tutela dalla Troika (Fmi, Bce e Commissione), un organismo che non esiste più dal 2012. E tanto basterebbe per denudare la malafede.

É molto, non è tutto. Le insidie e gli scogli restano e resteranno finché l’Europa non si deciderà al passaggio più importante: arrivare a una fiscalità comune che impedisca a qualche Stato furbetto di lucrare sugli altri Stati grazie a una tassazione generosa concessa soprattutto alle multinazionali. Un recente rapporto di Tax Justice Network mostra come (dati 2016-2017) diversi colossi americani hanno scelto come sede fiscale il Lussemburgo e l’Olanda per approfittare delle aliquote bassissime. I due Paesi hanno guadagnato rispettivamente 12 e 10 miliardi di euro a danno di partner dell’Ue come la Francia (ci ha rimesso 7 miliardi), l’Italia (4 miliardi), la Spagna (2 miliardi), dove pure quelle multinazionali operano ma senza avere rapporti con fisco grazie alle regole del mercato unico.

Questo dovrebbero ricordare i politici e gli economisti olandesi (spalleggiati da circoli di pressione tedeschi) che hanno cercato di opporsi alla svolta di Bruxelles. Dimenticando di avere qualche cadavere nel loro armadio.

Leggi anche