Meloni-Sinistra, la competizione fa un salto di qualità

Sergio Baraldi

Il vero annuncio che Giorgia Meloni ha compiuto il 1 maggio è stato: Il governo della destra si occupa davvero della classe operaia e per dimostrarlo il consiglio dei ministri vara «il più alto calo delle tasse da decenni». Non si è trattato dell’esordio di un nuovo stile di comunicazione della premier, ma del segnale che una nuova competizione con la sinistra e i sindacati è cominciata: la destra al governo si considera legittimata a difendere gli interessi dei lavoratori. La redistribuzione, prerogativa finora della sinistra, diventa la posta in gioco tra i due poli e configura un salto di qualità nella sfida con i progressisti.

Ancora una volta la comunicazione è politica, perché interviene sulla relazione tra governanti e governati, tra opinione pubblica e partiti, determinando il funzionamento della democrazia. Il problema è che l’area progressista non sembra avere per ora una contro-narrazione da opporre a quella della Meloni, funzionale all’instaurazione di un’egemonia culturale sul lavoro. La storia della premier, raccontata con un video sui social, esprime così una strategia comunicativa con la quale la destra affronta la sinistra sul suo stesso terreno: la rappresentanza del mondo del lavoro.

La competizione sui temi ad alto rendimento
Alle ultime elezioni politiche, secondo le analisi di studiosi come il professore Salvatore Vassallo nel suo recente libro, Il bipolarismo asimmetrico, una quota importante della classe operaia si è spostata dalla Lega su Fratelli d’Italia. La premier, in effetti, utilizza le armi del governo per rafforzare la sua presenza presso questi ceti. Ma ci sono anche altre ragioni che si possono indovinare dietro la sua mossa.

Finora la destra ha costruito la sua ascesa elettorale soprattutto su temi identitari, la difesa della identità nazionale e della comunità dagli immigrati, e sui temi della sicurezza in risposta alle paure diffuse nella società. Ma giunta a Palazzo Chigi, la premier sembra essersi accorta che la sequenza di avvenimenti di questi anni (dalla pandemia alla guerra in Ucraina) ha mutato l’ordine delle priorità: i temi identitari hanno ancora una certa presa in un clima sociale dominato dall’incertezza, ma oggi l’attenzione dei cittadini, in particolare dei suoi elettori, è assorbita dalle questioni economiche. L’inflazione mina il potere d’acquisto, salari e pensioni sono più bassi rispetto ad altri paesi europei, molti contratti non sono stati rinnovati, la disoccupazione con una economia che rischia una recessione torna a preoccupare, la fragilità sociale è cresciuta: le questioni materiali sono nuovamente temi ad alto rendimento politico rispetto a quelli culturali.

Argomenti che tendono a sganciarsi dalle ideologie tradizionali alle quali sono state collegate. Sempre più spesso partiti di sinistra competono con la destra su questioni come l’immigrazione o la sicurezza. Si può dire che non esiste più un monopolio della sinistra o della destra su determinati problemi. Sono sempre più frequenti, soprattutto a destra, i casi di partiti che combinano scelte di posizionamento e di valore differenti proprio per rispondere alla difficoltà di confrontarsi su politiche meno distinguibili del passato. L’opposizione divisa poi ha facilitato il formarsi di una struttura delle opportunità favorevole alla premier: si è aperto uno spazio per ampliare il proprio repertorio tematico, come cercare di intestarsi la questione salariale, sottraendola ai progressisti, o quella delle riforme istituzionali, prossimo obiettivo.

Così il volto che la premier ha presentato il 1 Maggio è quello di una leader posizionata a destra, ma che compie una disinvolta invasione di campo, appropriandosi a suo modo di temi tradizionali della sinistra come la redistribuzione e il lavoro. La competizione si gioca sulla proprietà delle issues economiche e sociali.

L’importanza di governare salienza, percezioni, offerta
Lo strumento che la premier ha utilizzato nella narrazione, consapevolmente o meno, è la salienza. In comunicazione la salienza si riferisce alla capacità del messaggio di attirare e mantenere l’attenzione del destinatario per un certo tempo. Riuscire ad agganciare l’interesse dei cittadini dipende da una serie di fattori: la rilevanza del messaggio, e la questione economica è tornata centrale; l’emozionalità dei messaggi, e il suo video cerca di trasformare il cittadino-spettatore in un attore dentro il palazzo del governo, che la premier accompagna fino al consiglio dei ministri riunito per farlo sentire coinvolto, e annullare la distanza tra il voi e il noi; la novità dell’informazione, e tale è l’annuncio del calo delle tasse «più alto degli ultimi decenni», affermazione non vera ma utile per raggiungere il bersaglio.

La salienza è decisiva dato che il messaggio verrà ricordato, ripreso, e inciderà sulle percezioni dei cittadini. Soprattutto contano le percezioni selettive, cioè le percezioni che vengono orientate dalle esperienze passate, dai bisogni, dalle aspettative e che ci fanno minimizzare le informazioni in contrasto con le nostre disposizioni. Una comunicazione efficace è legata alla capacità di trasmettere messaggi salienti, che il pubblico percepisce come tali e che condivide. È questo processo che instaura una risonanza tra eletti ed elettori. La Meloni con il suo video ha cercato di costruire un messaggio che ottenesse questo risultato. L’effetto desiderato era di abbassare le luci sul palcoscenico dei sindacati (e della sinistra) per accendere i riflettori sul palcoscenico del governo. Il suo palcoscenico, che la percezione dei cittadini, secondo lei, dovrebbe ritenere affine al suo sentire.

Sotto questo profilo è stato rapido ed abbastanza efficace nella risposta il segretario della Cgil Landini, che ha compreso l’operazione della premier, l’ha anticipata e contrastata. Mentre è apparsa in ritardo, più difensiva la segretaria del Pd Schlein, che invece aveva l’opportunità di ergersi a protagonista, proponendosi come l’anti-Meloni. Ma la segretaria del Pd ha perso l’attimo, mentre Landini l’ha afferrato. La struttura delle opportunità che si è aperta davanti alla Schlein è stata sfruttata con poca incisività, anche perché la leader Pd non ha una vera controproposta se non richiamare il tema del precariato, argomento sempre valido, ma più debole rispetto all’aumento dei salari. Rispondere all’aumento, la proposta materiale, con i diritti (il precariato), significa non considerare che i ceti popolari probabilmente li percepiscono come un tema di lungo periodo, meno urgente rispetto all’aiuto concreto, immediato. Ill vissuto di molti riflette il primato di ciò che è percepito come un bisogno primario, soprattutto se si tiene conto dei destinatari, lavoratori con salari bassi che faticano con il bilancio familiare. Così Landini e i sindacati, più attenti al tema materiale, economico-sociale, e in sintonia con le percezioni selettive dei lavoratori, hanno giocato un ruolo di supplenza rispetto ai partiti di opposizione.

Il governo come continuazione dell’opposizione con altri mezzi
La prima conseguenza dell’operazione è il cambio di ruolo della Meloni: prima sfidata dalla Schlein, ora di nuovo sfidante. Nello stesso tempo, ha rivendicato la rappresentanza di parte della classe operaia. Occorre tenere presente che, secondo molti studiosi, la classe operaia in generale ha una posizione più di sinistra sulle questioni economiche, ma una posizione più conservatrice nella dimensione culturale e identitaria. La Meloni sembra pensare che la maggiore vicinanza sui temi identitari possa aiutarla a intercettare quote più ampie di lavoratori, che in parte già votano a destra. Con il decreto lavoro sembra mettere in cantiere un’offerta politica articolata, che si appropria di temi più di sinistra come la redistribuzione, combinandoli con i temi culturali più di destra. Per la presidente la classe operaia è contendibile.

La premier è concentrata sulla ricerca del consenso. Prima ha cercato di conservare l’appoggio degli autonomi, delle partite Iva, dei balneari e dei tassisti, cioè dei ceti che hanno da guadagnare da un fisco meno intransigente e più accomodante. Adesso si rivolge ai lavoratori, che hanno cominciato a votarla. A destra si delinea un processo di legittimazione basato sul rafforzamento del consenso, che aprirebbe la via alla conservazione del potere e che promette di assicurare il miglioramento delle condizioni di vita a differenti strati sociali, compresi i lavoratori. L’offerta, quindi, è decisiva: essa rappresenta le priorità, l’impegno con i cittadini. Sintetizza il patto tra eletti ed elettori, influenza le scelte dei cittadini, modella il clima sociale, colloca il partito che identifica una proposta credibile e attraente al centro della scena. L’azione della premier conferma l’importanza di governare la salienza dei temi, le percezioni dei cittadini, di conseguenza l’offerta. Il partito che ci riesce ha buone probabilità di vincere. Come sostengono alcuni studiosi: l’offerta modella e in certi casi persino suscita la domanda dei cittadini.

Riuscire a cogliere lo spazio tematico dei cittadini e rispondervi, entrare in sintonia con le loro aspettative e percezioni, determinare l’agenda, rivendicarne la rappresentanza, è una delle sfide principali per condurre con successo campagne elettorali. Ma questa considerazione sembra anche indicarci la motivazione che guida la Meloni: la sua narrazione è una strategia elettorale. La premier più che essere preoccupata dalla competizione esterna con una opposizione frammentata, che non ha una linea unitaria, sembra guardare alla competizione interna alla sua coalizione: il prossimo anno alle elezioni europee si voterà con il proporzionale, ogni partito andrà da solo, i rapporti di forza che si cristallizzeranno con la Lega (suo difficile competitor) e Forza Italia potrebbero rafforzare o incrinare la sua leadership nelle future elezioni. Senza considerare che la premier si augura che potrebbe nascere a Bruxelles una alleanza tra il Ppe e i Conservatori, che lei presiede, rovesciando l’asse politico su cui si regge oggi l’Europa, quello tra Ppe e Socialisti e democratici.

La Meloni non sembra avere intrapreso il cambiamento che molti pronosticavano: passare da leader di un partito della destra estrema a leader di un partito conservatore, traghettando culturalmente sé stessa e Fratelli d’Italia dall’opposizione al governo. Proprio l’incursione del 1° maggio fornisce l’indizio di una traiettoria diversa: la Meloni interpreta il governo come continuazione dell’opposizione con altri mezzi. Anche se non mancano indizi contraddittori di una normalizzazione della sua area politica.

Il sovranismo e l’incognita della stabilità finanziaria
La Meloni, quindi, ha spostato la competizione sui nuovi temi ad alto rendimento, l’economia e i problemi materiali, facendo compiere un salto di qualità alla sfida tra i poli. Ma la sua scelta rivela anche il campo sul quale teme di essere sconfitta: il declino del benessere economico. E in effetti è in questa prospettiva che si addensano incognite per il suo governo. La categoria dell’antifascismo può convincere i già convinti a sinistra e mobilitare parte degli elettori progressisti delusi che si sono astenuti. Ma per ora non sembra in grado di modificare i rapporti di forza. È dalle condizioni finanziarie del Paese che arrivano i veri rischi. Per fare in modo che alla fine dell’anno i salari restino come saranno da luglio, cioè con la limitata riduzione del cuneo decisa il 1° maggio, occorreranno 10/11 miliardi nel 2024. Per il contratto del pubblico impiego serviranno pare 4/5 miliardi. La legge di bilancio del prossimo anno parte con l’ipoteca di risorse per 15 miliardi da reperire. I margini di manovra per la premier si restringono.

Lo scenario economico è carico di incognite. Per il PNRR i finanziamenti sono europei (e in parte da restituire), ma il piano incontra non pochi seri problemi di attuazione, che possono incidere sul Pil, dandoci una ripresa anemica. La Bce ha alzato il costo del denaro, forse lo aumenterà ancora, aggravando il peso del costo del nostro debito pubblico, ma si avvia a ridurre ed eliminare la montagna di titoli pubblici che ha accumulato. Il rientro dei programmi di acquisto di titoli pubblici della banca europea avrà riflessi sulla sostenibilità del nostro debito. Ricominceremo a guardare con ansia lo spread. Le agenzie di rating, che monitorano la sostenibilità del nostro ingente debito, sono già inquiete. E nel 2024 dovrebbe entrare in vigore il nuovo patto di stabilità, più flessibile del passato, ma sempre attento agli squilibri dei paesi indebitati come l’Italia.

L’inflazione resta alta e non rientrerà rapidamente. In Germania è stato rinnovato il contratto dei dipendenti pubblici con aumenti salariali del 12% in due anni, il che significa che la Germania calcola la permanenza di un’alta inflazione. Le conseguenze sui bilanci delle famiglie rischiano di farsi sentire con l’erosione del potere d’acquisto. L’Italia avrebbe bisogno di riprendere la strada della crescita e finora l’economia ha tenuto. Ma fino a quando? La riduzione del cuneo fiscale sui salari è una decisione che può offrire un lieve sollievo ai lavoratori. Ma sarà scaricata sulla fiscalità generale, cioè sulle spalle dei contribuenti, dei dipendenti e dei pensionati. La premier nasconde il fatto che agire solo sul cuneo offre un sostegno indiretto alle imprese, che così non sono incentivate a chiudere i contratti e a riconoscere aumenti salariali adeguati. Tanto ci pensa lo Stato. E i lavoratori, soprattutto quelli a basso reddito, avrebbero bisogno di aumenti reali non solo di ritocchi del cuneo fiscale.

Il risultato è che potrebbe innescarsi un conflitto per le risorse pubbliche, rendendo difficile per il governo riuscire ad assorbire i costi dell’inflazione. Sovranismo e populismo hanno utilizzato fino in fondo contro gli avversari le metafore della crisi e del fallimento delle élite al governo e sanno bene in quale trappola potrebbero finire: diventare loro gli autori della prossima crisi, del prossimo fallimento. La destra conosce la distinzione tra essere al sicuro e sentirsi al sicuro e quella che vale è la seconda. Così la Meloni al governo non ha dismesso lo stile aggressivo dell’opposizione per mascherare le sue difficoltà. La narrazione deve dare visibilità ai temi che ha selezionato, deve trasformare la sua salienza in percezioni che abbiano risonanza sociale attraverso la costruzione del messaggio. Poco importa che sia veritiero o no. Quello che conta è che i cittadini si identifichino, che credano alla narrazione. Ecco la scommessa rischiosa della premier con la quale i progressisti ora devono misurarsi.

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