Rossella Panarese, una voce tra radio e futuro

Marco Motta

«Saper raccontare vuol dire avere a cuore l’ascoltatore, essere nella disposizione d’animo di farsi carico dell’attenzione dell’altro, creare un filo comune tra chi parla e chi ascolta. Insomma, costruire una relazione. È quello che la radio può fare meglio di altri strumenti di comunicazione. A me piace usare la metafora del ballo di coppia, che è tale se, e solo se, ognuno dei ballerini è, nel medesimo tempo, concentrato sui suoi passi, ma in contatto con quelli dell’altro». Sono parole di Rossella Panarese (1960-2021), riportate in una targa ai piedi dell’albero che la ricorda a due passi da via Asiago a Roma, la sede storica di Radio Rai.

Con la metafora del ballo Rossella Panarese coglieva alla perfezione un aspetto della radio, il senso di vicinanza e intimità che si può generare tra chi parla e chi ascolta, che è sopravvissuto, e anzi per certi versi si è perfino rafforzato negli ultimi trent’anni con la transizione digitale e lo sviluppo dei podcast. Trent’anni che l’hanno vista protagonista come autrice, curatrice e coordinatrice di programmi e contenuti a Rai Radio 3, dove già nel 1991 diede vita al primo programma radiofonico interamente dedicato alla scienza, Palomar.

In un paese che ha sempre faticato a metabolizzare la scienza come parte della cultura, Rossella Panarese ha saputo portare avanti una visione ampia e aperta della comunicazione della scienza alla radio, culminata nella nascita del programma Radio 3 Scienza, la cui prima puntata è andata in onda il 6 gennaio 2003 e che ancora oggi fa parte del palinsesto informativo della mattinata di Radio 3. Un programma che non si limitasse a fare divulgazione scientifica, ma che sapesse confrontarsi quotidianamente con i grandi temi della contemporaneità, con la consapevolezza che la conoscenza scientifica era e sarebbe divenuta sempre di più un pilastro dello sviluppo delle società del XXI secolo. La pandemia, come pure l’evoluzione della crisi climatica, ha fatto emergere in modo prepotente l’importanza ma anche la fragilità del rapporto tra scienza e società e ha fornito una sfida possente alla capacità di raccontare l’incertezza e la complessità delle conoscenze scientifiche in evoluzione.

C’è un altro aspetto che ha sempre contraddistinto l’agire pubblico di Rossella Panarese, ed è il rapporto con i più giovani. Per oltre vent’anni ha avvicinato al linguaggio radiofonico generazioni di aspiranti comunicatori della scienza in diversi master post-universitari. Ma anche nel lavoro quotidiano a Radio 3 Scienza sono stati numerosi gli incontri con ragazze e ragazzi delle scuole di tutte le età, in dirette live dai teatri e dai festival, ma anche in studio, come nel caso della serie di puntate realizzate per il progetto Articolo 9 della Costituzione con studenti e studentesse che affollavano gli studi di via Asiago per incontrare sismologi, primatologhe, astronaute, genetiste e ornitologi (riascoltabili dalla playlist Fuori Registro nella pagina di Radio 3 Scienza sulla piattaforma Raiplaysound).

In tutte queste occasioni Rossella Panarese ha dimostrato una capacità speciale di entrare in sintonia e di sapersi confrontare in modo empatico e insieme dialettico con le generazioni più giovani. Per questo un concorso di podcast a lei intitolato e destinato alle studentesse e agli studenti delle scuole superiori pugliesi sui temi della crisi climatica e delle sue soluzioni a livello locale ci è sembrato un modo bello di far confluire la sua passione per il linguaggio orale (tra l’altro è stata proprio Rossella Panarese a promuovere nel 2019 la nascita della prima serie podcast originale di Radio 3, Labanof. Corpi senza nome, che ha vinto il Prix Italia, anche questo disponibile su Raiplaysound) con quella per il futuro.

Nel settembre 2019, in un incontro con i rettori delle università pugliesi nell’ambito del festival Lector in fabula, Rossella Panarese faceva queste considerazioni: «C’è poco futuro nel discorso pubblico, non c’è futuro nel discorso politico. Questa è davvero una cosa incredibile. Abbiamo dovuto aspettare i giovanissimi che fino all’anno scorso consideravamo ancora dei bambini. Comunque la si pensi sul movimento di sciopero contro il cambiamento climatico, non c’è dubbio che questi ragazzi e queste ragazze ci hanno ricordato due cose che credo siano importanti. La prima cosa è che dobbiamo alzare lo sguardo, noi adulti siamo generazioni che viviamo con lo sguardo basso. La seconda cosa che ci stanno insegnando è che per guardare al futuro noi dobbiamo avere competenze e conoscenze e quindi dobbiamo interrogarci: quali competenze e quali conoscenze?».

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