Europa, egoismi e solidarietà

Thierry Vissol

Con questa serie di articoli, non ho voluto dimostrare che l’Ue fosse l’ultimo modello di virtù e solidarietà. Non esito mai a mettere in evidenza le sue lacune e inadempienze, i suoi difetti strutturali derivanti dalla limitazione delle sue competenze, dalle sue modalità di decisione basate sul modello intergovernativo, attribuendo al Consiglio, cioè ai capi di Stato e di Governo il solo vero potere decisionale. Un sistema che lascia spazio alle lotte tra sovranità e quindi agli egoismi nazionali. Tuttavia, a differenza delle lotte politiche nazionali, nessuno cerca di diventare califfo al posto del califfo, e, in genere, seppur minimo, si trova sempre un compromesso.

Tuttavia, il continuo appello all’assenza di solidarietà dell’Ue non è né giusto né fondato. Chi applica e dov’è la solidarietà? Gli USA offrono 100 milioni all’Italia e tentano al tempo stesso di acquisire l’esclusività di brevetti o innovazioni da centri di ricerca europei, come il vaccino della CureVac tedesca o il test per il coronavirus dell’Università di Liegi, o acquistano per loro uso esclusivo, proponendo prezzi esorbitanti, carichi di prodotti sanitari destinati a scorte già caricate su aerei nel parcheggio dell’aeroporto di partenza e ordinati da altri paesi europei? Le regioni che in molti paesi, si oppongono a decisioni a livello nazionale per il bene comune? Gli ospedali di uno stesso paese che si fanno concorrenza per l’acquisto di prodotti e per il loro uso esclusivo? I politici dell’opposizione che invece di collaborare – almeno durante la gestione della situazione d’emergenza – cercano di destabilizzare il governo per prendere il potere, proponendo soluzioni senza preoccuparsi delle loro conseguenze per il futuro?

Quando la crisi sarà finita, i debiti dovranno essere pagati, le risorse dovranno essere mobilitate per rilanciare l’economia, sostenere i disoccupati, i pensionati ecc. In nessuna guerra si utilizzano tutte le munizioni senza essere sicuri di potersi rifornire. Come si esprime la solidarietà di coloro che accusano con più forza l’Ue di non avere interesse, verso le popolazioni in difficoltà, gli immigrati presenti sul loro territorio, i rifugiati in cerca di una oasi di pace? E noi tutti, spesso chiediamo la solidarietà altrui, ma più spesso ne siamo avari verso gli altri.

È vero che la stragrande maggioranza dei paesi non solo ha sottovalutato la minaccia e i rischi, come Trump che all’inizio l’ha definita solo una grande influenza. Molti hanno nascosto ai loro cittadini la situazione di grave pericolo sanitario, in primis, la Cina nel primo mese, e ora continuano a farlo la Russia, l’Iran, l’Algeria per citarne solo alcuni. Altri, come il Regno Unito, hanno applicato soluzioni improponibili come l’immunità di gregge, prima di cambiare atteggiamento quando oramai era già troppo tardi, i Paesi Bassi o la Svezia, ultimo paese europeo a non avere deciso il confinamento della sua popolazione.

Nessun paese ha veramente ascoltato gli avvertimenti lanciati dagli scienziati e dai virologi sui rischi di nuove pandemie, né hanno tenuto conto dei rapporti allarmanti dell’OMS già dalla crisi SARS nel 2003, né di quelli del World Economic Forum e del suo appello all’azione per garantire la cooperazione tra istituzioni pubbliche e il settore privato nella preparazione di risposte alle future pandemie simulate e previste nell’esercizio Event 201 nell’ottobre 2019

È anche vero che la previsione e la gestione della crisi non è facile per nessun governo. Perché, nonostante il fatto che una pandemia possa essere predetta, nessuno è in grado di prevedere quando si verificherà e dove, quale sarà lo sviluppo, la pericolosità, il modo di trasmissione, la sua ampiezza e così via. Il dilemma del decisore politico è quello di scegliere tra i molteplici avvertimenti, le possibili minacce, spesso, quando già si trova in una situazione politica tesa. E si può sbagliare. Nessun governo, neanche quello più autoritario, è stato in grado di prendere le decisioni giuste al momento giusto. Come poteva prevedere il governo italiano o quello francese, l’esodo di popolazioni dalle grandi città verso il resto del paese contribuendo così alla diffusione del virus? Non è bastato il dramma italiano a convincere gli altri paesi ad adottare subito le stesse misure (e alcuni paesi non l’hanno ancora fatto).

Tuttavia, se non è possibile prevedere quando e quale tipo di crisi si scatenerà, è possibile agire preventivamente. Lo aveva fatto la Francia nel 2007, creando un dispositivo di protezione molto ambizioso dopo la crisi dell’influenza aviaria (H5N1) del 2006: un corpo di riserva sanitaria e un’agenzia di preparazione e di risposta alle emergenze sanitarie (EPRUS), spendendo circa € 1 miliardo per creare scorte di mascherine: 285 milioni di mascherine con filtri FFP2, 1 miliardo di mascherine chirurgiche, milioni di vaccini, siringhe, migliaia di respiratori e bottiglie di ossigeno, ecc. Passata l’emergenza, come in altri paesi, l’opposizione ha contestato il costo di tali misure, l’eccesso di scorte, considerando che fosse uno spreco di fondi pubblici unicamente a vantaggio delle aziende farmaceutiche. Le scorte quindi non furono rinnovate o lo furono in proporzioni molto ridotte, con la scusante che sarebbe stato facile procurarsele rapidamente, in caso di bisogno. Ma senza contare che la Cina e l’India ne sono i principali produttori e che la crisi sarebbe stata globale provocando una domanda ben superiore all’offerta.

Dato che le decisioni europee sono prese dai capi di Stato e di Governo e le procedure di decisione sono complesse, è difficile accusare l’Ue di avere reagito con ritardo. Di fronte al panico delle popolazioni, di fronte a un pericolo reale ma invisibile è difficile pensare che i governanti non abbiano pensato in primis alla loro popolazione. Poi hanno cambiato atteggiamento in meno di quindici giorni, proprio grazie all’esistenza dell’Ue, agli appelli del Parlamento e della Commissione e alla pressione delle popolazioni. Grazie anche all’esistenza, come abbiamo brevemente descritto, di una serie di istituzioni, agenzie, meccanismi di cooperazione sono state prese rapidamente decisioni fondamentali, quali la sospensione delle regole del patto di Stabilità, il programma PEPP della BCE, la semplificazione delle procedure d’uso dei fondi strutturali. Oltre al sito della Commissione già citato esiste anche un sito del Parlamento europeo che descrive tutte le azioni già in corso di realizzazione e quelle previste.

Purtroppo, la crisi sanitaria non è finita e la crisi sociale ed economica che seguirà richiederà ancora molto impegno e molte risorse finanziarie ma soprattutto una strettissima cooperazione, sia nelle politiche nazionali che nelle politiche europee. Ogni piano nazionale di sostegno all’economia e alle popolazioni sarà utile per gli altri paesi, perché le nostre economie sia dal lato della produzione che da quello del consumo, sono interdipendenti. Salvare una grande impresa tedesca, salva posti di lavoro in molti altri paesi che producono pezzi o materie prime, o hanno lavoratori transfrontalieri. Ma questi piani di salvataggio o di sostegno nazionali non saranno sufficienti se non sono coordinati, se non si trovano le risorse per finanziarli, se non vengono perseguiti i grandi progetti come i TEN (Trans European Networks).

L’obiettivo dovrebbe essere quello di incrementare i mezzi a disposizione della ricerca europea, di organizzare la risposta comune ad altre sfide sanitarie o connesse a molti altri rischi come le conseguenze dei cambiamenti climatici, ecc. Nessuno dei nostri piccoli paesi, piccoli se paragonati alle grandi potenze concorrenti (Cina, USA, Russia, India), o piccoli a livello europeo rispetto ai cinque più grandi (Germania, Francia, Italia, Spagna e Polonia) è, e sarà, in grado di affrontare da solo queste sfide.

Oso credere che i capi di Stato e di governo ne siano consapevoli, ma affinché questa presa di coscienza si trasformi in azioni concrete, è necessario  che siano spinti dai loro cittadini, che le popolazioni possano essere informate di quello che è realmente l’Unione (che non può essere ridotta ad alcuni capi di Stato  o di Governo), dei numerosi strumenti esistenti ma che devono essere ampliati, della forza che può rappresentare una vera Unione europea, che siano smentite le numerose menzogne e slogan semplificatori degli euroscettici e sovranisti di ogni genere.  Ecco perché c’è anche bisogno che i media ritrovino le basi del loro mestiere: informare su base di fatti verificati, evitare di cercare reazioni emotive per ottenere audience, dei che siano in grado di informare, educare, intrattenere e lottare contro le politiche di disinformazione.

Non sarà facile, ma spero che eviteremo gli errori commessi dopo la Seconda guerra mondiale quando, a causa del ritorno dei nazionalismi, fu persa la battaglia per la creazione di una Federazione europea in grado di impedire la bipolarizzazione del mondo, disfatta che ci ha spinti sotto la protezione degli USA. Non farlo ci condurrà a diventare succubi di una o più grandi potenze e a sperare la loro elemosina per uscire delle future crisi.

9. Tutti i tuoi debiti pagherai
8. Aspetti economici, aiuti finanziari e cofinanziamenti della spesa pubblica
7. Legislazioni europee
6. Regole di decisioni politiche e cooperazione
5. Ricerca scientifica e forniture di apparecchiature medicali
4. Le azioni dell’Unione
3. Le competenze dell’Ue in materia sanitaria
2. Egoismi nazionali e solidarietà europea
1. Unione Europea e coronavirus

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