Il pensiero nomade e coerente di Franco Cassano

Daniele Petrosino

Quando si riflette sul pensiero di uno studioso quale Franco Cassano bisogna avere l’umiltà di riconoscere i propri limiti e sapere che ciò che si afferma non solo è legato alla necessaria parzialità di qualsiasi interpretazione, ma che la poliedricità di Cassano sfugge a qualsiasi tentativo di racchiuderla in categorie e figure definite. Per certi versi potremmo dire che questa è la cifra del suo pensiero. Non si può racchiudere, non si può etichettare, non è appropriabile.

Talvolta la forma del pensiero è anche la sua sostanza. In Cassano abbiamo un pensiero multiforme e rigoroso, indisciplinato eppure disciplinatissimo, nomade e coerente. La giustapposizione di aggettivi che lo designano costituisce la costante ambivalenza della sua riflessione. Radicalmente critico eppure realista. Questa tensione lo ha accompagnato costantemente nella ricerca, nei temi, negli autori, nelle scelte anche politiche.

Negli articoli, nelle dichiarazioni di questi giorni vi è un’ovvia prevalenza di attenzione alla felice formula che ha segnato un passaggio cruciale del suo pensiero e della riflessione di tanti altri intellettuali e militanti del Global South, il Pensiero Meridiano. Nessuna attenzione è stata dedicata ad un piccolo libretto, Tre modi di vedere il sud, in cui si addensa tutto il rigore, la conoscenza e la capacità riflessiva di Cassano.

Le categorie del Pensiero Meridiano prendono vita per arare un terreno difficilissimo quale quello della Questione Meridionale. Cassano colloca la riflessione sul Sud dentro i grandi paradigmi che informano le scienze sociali. Gioca la partita grande, quella in cui di confrontano le grandi visioni, quelle da cui nascono ricerche, politiche, movimenti. Lo fa con il suo stile, cercando il dialogo tra visioni divergenti, chiedendo che esse si parlino e si misurino con «le evidenze contrarie».

Troppo spesso i nostri ragionamenti sfuggono alle evidenze, nascondono sotto il tappeto ciò che può contraddirle. Cassano cerca la contraddizione, la nutre e se ne fa interprete. Essa non è il nemico da sconfiggere, ma ciò che rende fertile il pensiero. Ecco, il senso della contraddizione è presente con una coerenza e costanza quasi ossessiva in ogni passaggio dei suoi scritti, è lo stile del suo pensiero, ed è uno stile che si fa sostanza. Per questo non può essere rinchiuso, etichettato.

Stare nella contraddizione, viverla è parte essenziale del dialogo. Se riconosciamo che c’è una parte di ragione nell’altro, anche se non la vediamo e che c’è una parte di torto in noi, anche se ci sforziamo di superarlo, allora possiamo toglierci l’elmo, sapendo che c’è una prospettiva, un punto di vista che non condividiamo, ma con cui dobbiamo misurarci. È una tensione costante, sfibrante, ed allo stesso tempo esaltante ed emozionante, quella con cui in tanti, forse tutti, i suoi scritti ci guida a riconoscere un pensiero e a evidenziarne i limiti, a superarli, in un gioco continuo a cui sottopone sé stesso.

Spesso, chi ne ha poca frequentazione, ritiene che Cassano sia di volta in volta un filosofo, un sociologo, ma egli è soprattutto un sociologo della conoscenza che ha fatto della riflessività del pensiero la costante della sua ricerca. E dunque la tensione costante è ciò che vibra dentro la sua ricerca, che non si pensa mai come compiuta, ma che allo stesso tempo non si sottrae alla responsabilità di mostrarci non ciò che vogliamo, ma ciò che siamo, con le nostre paure, i nostri desideri, e quanto questo sia ciò con cui ogni giorno dobbiamo confrontarci.

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