L’autonomia del Sud nel pensiero di Franco Cassano

Marina Comei

Dopo il 1989, soprattutto nel decennio degli anni ’90, Franco Cassano avvia una nuova riflessione sul Mezzogiorno che ha come centro il tema dell’autonomia del Sud, questione che gli appare avere legami molto solidi con la nuova fase geopolitica, economica e culturale che si era aperta per il nostro Paese e non solo.

La fine della guerra fredda ha infatti rimescolato radicalmente le carte. Ha messo l’intero scenario internazionale in movimento e soprattutto ha dato al Mezzogiorno una nuova libertà, ha aperto spazi che a Franco Cassano appaiono consentire finalmente uno sguardo nuovo che può produrre nuova politica e nuova economia, anche spezzando il vecchio patto tra intellettuali meridionali e Stato che era stato stipulato nei decenni immediatamente successivi all’Unità d’Italia. In questo contesto autonomia del sud e prospettiva mediterranea nelle riflessioni di Cassano si presentano legate, proprio perché il sud può diventare l’avamposto di questa nuova fase.

Nel 1999 Cassano scrive: «La madre di tutte le autonomie è quella del pensiero: il sud deve cominciare a pensarsi da sé, scoprendo quello che ha davanti agli occhi da tempo e non riesce più a vedere. In altri termini non è possibile pensare il sud fuori dal suo ambiente, il Mediterraneo. Pensarlo fuori da questo contesto significa pensarlo con gli occhi degli altri, come un’appendice remota e perduta di un cuore continentale dell’Europa […] Autonomia del sud vuol dire in primo luogo questo: nulla di nuovo potrà accadere senza la costruzione e la valorizzazione di questo contesto, fuori dall’idea che vede il sud come un terra-ponte tra i continenti […] A differenza da quanto avviene per il nord della penisola, che, favorito dalla sua vicinanza geografica, ricava direttamente forza dalla costruzione dell’Europa, un contesto mediterraneo, decisivo per un’autonomia del sud, esiste solo in minima parte e va costruito: l’autonomia ci sarà solo se potrà alimentarsi dei mille fili di questo contesto, delle relazioni politiche, economiche e culturali che lo andranno a comporre».

Il tema dell’autonomia non è tuttavia solo una rivendicazione di una diversità, di un modo altro di stare nella modernità, non ha un carattere solo sociologico o economico, ma fin dall’inizio ha anche una accezione storico-politica che nasce da un progetto di ricerca volto a dimostrare come oltre l’utilitarismo radicale che si è affermato con la piena modernità, esista una prospettiva diversa della storia, una prospettiva che rende il futuro più complicato, molteplice nelle sue possibili concretizzazioni, che, forse, è possibile scorgere proprio grazie a quella libertà e infedeltà che solo il meridiano stare tra terra e mare gli sembra consentire. Non a caso più di dieci anni dopo la pubblicazione del Pensiero meridiano in una intervista a cura di Claudio Fogu, afferma esplicitamente che il principale referente polemico del suo volume siano state le note tesi di Francis Fukuyama sulla fine della storia in cui si prefigurava che tutto il mondo sarebbe progressivamente diventato come il nord-ovest, vincitore della lunga contrapposizione tra est e ovest. Una semplicistica assolutizzazione della storia nella forma dell’etnocentrismo occidentale.

La necessità di confrontarsi con la storia, per  la sua singolare compresenza di passato e presente, con le forze che in essa agiscono per comprenderne orientamenti, bisogni, spinte è un punto ricorrente negli scritti di Franco Cassano, proprio perché essa ha dentro di sé la forza trasformatrice della politica, se questa è sostenuta da analisi radicali nei concetti ma capaci in primis di mantenere un forte legame con i mille risvolti della realtà dove lo sguardo dell’osservatore e il pensiero teorico devono procedere facendosi guidare da una curiosità solerte e da una attenzione problematica, consapevole della diversità ineludibile dei punti di vista su quanto accade. E di questa forza trasformatrice della politica che il nuovo sud, post ’89, non può fare a meno.

In questo senso la questione dell’autonomia appare per molti aspetti come l’indicazione di uno strumento di elaborazione politica e di spinta all’azione. Analogamente vanno considerati anche gli accenti esplicitamente gobettiani contenuti in questo termine, che Cassano richiama in un suo saggio del 2004 su Carlo Levi e sull’intenso rapporto di Levi con gli scritti della «fervida giovinezza» di Gobetti sul nesso tra la religione della libertà e il paradigma gobettiano dell’autonomia.

Tuttavia, è nel romanzo Cristo si è fermato ad Eboli che Cassano ritiene che sia possibile rintracciare i punti fondanti di una possibile «autonomia collettiva», nel Sud e del Sud, necessaria per non cadere nella trappola dell’individualismo e soprattutto per consentire quella azione collettiva che può sgombrare il campo dalla tradizionale passività della società meridionale.

Questo richiamo all’azione, che torna in diversi scritti, emerge in particolare in Paeninsula il volume del ’98 che segue immediatamente la prima edizione del Pensiero meridiano, ma che costituisce in qualche modo un manuale per una reinterpretazione dinamica e attiva della identità italiana che porti dentro di sé la questione dell’autonomia del Mezzogiorno. Per confrontarsi con entrambe in un modo che sia all’altezza dei tempi nuovi è necessario ritrovare le ragioni per l’azione civile che è in fondo uno dei temi più ricorrenti degli scritti di Cassano e anche, vorrei aggiungere, della sua biografia.

A questo proposito vorrei soffermarmi su alcuni aspetti del modo in cui in Paenisula torna a ragionare sulla collocazione mediterranea del Paese, sulla italiana modernizzazione imperfetta, sul suo nazionalismo debole e sulla occasione che la nuova fase geopolitica che si è aperta offre al Sud e all’Italia nella sua interezza. Le ultime venti pagine di questo testo sono un incalzante ragionare sul che fare, sul come fare, nella consapevolezza, quasi l’assillo che la prospettiva mediterranea e l’autonomia del sud devono diventare politica e devono trasformarsi in decisioni per evitare il rischio di un esito che le riduca a compensazione retorica o a suggestiva utopia.

Il punto di avvio del suo argomentare sulla costruzione del futuro del sud è  nella convinzione che lo sviluppo non sia una grandezza economica ma sia l’esito di una mobilitazione collettiva, per cui grande rilievo hanno le condizioni non economiche, o le condizioni immateriali come le definirà più tardi, condizioni che sole sono in grado di rimettere in gioco le nuove forze della trasformazione,  insieme a quelle che finora si sono autoescluse e anche a quelle che hanno preso direzioni perverse, negative. Sono queste le forze che devono cogliere l’occasione storica determinata dalle novità della fase post ’89.

Interessante è ritornare su quali siano le tre indicazioni che nel volume vengono ritenute decisive per far fare alla questione del Mezzogiorno un salto qualitativo reale, inserendola finalmente in una trama più ricca di possibilità. La prima ha natura geopolitica e nasce dalla constatazione di come la crisi dello Sato–Nazione e la globalizzazione abbiano imposto la nascita di regioni economiche che superano i confini nazionali. Questo può consentire la costruzione di una nuova fase della politica estera nazionale in grado di rendere l’Italia ponte tra le sponde del Mediterraneo e connessione verso il Mediterraneo per l’Europa.  In questo ragionare appare ancora più evidente come Cassano sia pienamente un intellettuale europeo che in molti suoi scritti e interventi si confronta con il tema della costruzione mediterranea della nuova Europa, della funzione dello spazio culturale e politico del suo lato sud nella definizione dei nuovi equilibri di fine secolo. Un passaggio della storia europea che, ancor più oggi nelle ferite di un nuovo conflitto nel recinto di casa, appare poco consolidato ed esposto a esiti diversi. Non può tuttavia sfuggire come il Mediterraneo nell’ultimo ventennio abbia assunto una nuova centralità nel futuro del vecchio continente. Grazie al raddoppio del canale di Suez, alla valorizzazione del continente africano che deriva dai suoi alti tassi di natalità e dalla sua ricchezza di materie prime diventate strategiche, si sono modificate  alcune importanti relazioni economiche internazionali  Si pensi a come nel primo ventennio del XXI secolo sia cambiato il sistema portuale mediterraneo, ai segnali venuti dalle primavere arabe anche se rapidamente dispersi e soprattutto alla nascita il primo gennaio del 2021 dell’area free trade più grande del mondo con un accordo promosso dall’Unione Africana e ratificato da 34 paesi. Né va dimenticato il nuovo sguardo verso il continente africano imposto dal conflitto attuale. Cresce infatti la consapevolezza per cui anche la via di un nuovo equilibrio, di un nuovo assetto geopolitico con cui uscire dalla gravissima crisi di questi mesi debba passare con una radicalità inedita dal Mediterraneo.

In questo processo sembra di poter intravedere i primi segnali della possibilità che il sud, come sosteneva Cassano, si collochi al «centro di possibili nuove convenienze geopolitiche, economiche e culturali, come avamposto dell’Italia in una nuova potenziale area di sviluppo, quella del Mediterraneo».

Si è creata per la prima volta una convergenza di interessi tra le due aree economiche dell’Italia, tra Italia ed Europa, tra Europa e ampie zone dell’Africa, le relazioni euro-mediterranee hanno assunto toni prima sconosciuti, ma molto resta da fare. Le relazioni economiche infatti non bastano, non sono sufficienti e inoltre contengono il rischio della semplice mercificazione delle risorse della sponda sud del Mediterraneo.

La prospettiva mediterranea ha bisogno, come ricorda Cassano, di una radicale affermazione dell’autonomia del sud, di un mutamento del modo di guardare al sud e del modo in cui esso guarda sé stesso, non più luogo del «ritardo» ma avamposto di un nuovo ciclo di trasformazione. Perché questo accada è necessaria una nuova politica estera italiana e soprattutto europea.

Ancora qualche mese fa il commissario Gentiloni segnalava come l’Europa sia il maggior partener commerciale, a volte di gran lunga, dell’area mediterranea e dei Balcani occidentali e come questo ancora non si traduca in una adeguata influenza geopolitica, in una compiuta strategia europea a favore di una maggiore stabilità e sviluppo. L’alternativa mediterranea di cui Cassano avrebbe scritto nel 2007 non ha ancora una fisionomia, la formula della «prosperità condivisa» non convince pienamente e le insufficienze evidenziate già nel processo di Barcellona permangono insieme a quelle delle élites africane.

La seconda condizione ha natura istituzionale ed è data dal manifestarsi nel decennio degli anni ’90 di una nuova classe dirigente meridionale che può mutare il rapporto tra società meridionale e gruppi dirigenti nazionali dei partiti attraverso un allargamento e consolidamento della tradizione civica del mezzogiorno, attraverso una forte identificazione con i luoghi, la difesa dei beni pubblici e il risveglio dell’orgoglio comunale.

Anche da questo punto di vista nel pensiero di Cassano torna il rilievo del nuovo contesto internazionale, che ha consentito di abbattere il rigido recinto della guerra fredda e ha determinato la transizione politica italiana degli anni ‘90 con la rivoluzione dei sindaci e la repubblica della città. È questa per Cassano la gamba fondamentale che serve alla costruzione dell’autonomia politica del Sud. Infatti, la convinzione che a Sud siano possibili processi di rinnovamento della politica coincide con un suo decennale impegno in Città Plurale, l’associazione di cittadinanza attiva fondata nel 2001.

Su questo snodo non vorrei soffermarmi in questa sede, mi limiterò a sottolineare come questo sia un punto fondamentale, senza la politica, senza un’azione civica che rimetta il quadro complessivo in movimento l’idea dell’autonomia meridionale vacilla. Alcuni anni più tardi la crisi della primavera pugliese è stata evidente, una frattura densa di grandi conseguenze a cui Cassano ha assistito con allarme altrettanto grande, una crisi che ancora oggi continua a determinare lo svuotamento della forza trasformatrice del civismo, di un pezzo di rilievo della declinazione politica dell’autonomia del Sud.

Vorrei invece aggiungere alcune considerazioni sul terzo tassello della costruzione dell’autonomia, quello delle forme concrete con cui superare il fordismo dei decenni precedenti.

Ad esso Cassano guarda come ad una battaglia culturale in cui si può assumere il post-moderno come strumento per ricostruire la propria differenza, liberandosi delle deformazioni «mostruose» generate dalla modernizzazione dall’alto e dall’intervento straordinario. Qui Cassano declina il tema della creazione di una nuova imprenditorialità meridionale, un’imprenditorialità che deve esprimere un nuovo coraggio dell’azione collettiva, un protagonismo capace di generare imprese e lavoro. Pensa ad un «sistema di imprese meridiane» che spinto dall’azione dell’autonomia recida alle basi la cultura dell’assistenza e possa contare su «una lunga strada che imprese e intellettuali devono fare insieme senza egemonismi» per immaginare e costruire concretamente una post-modernità frutto dell’autonomia.

Già in Paeninsula era presente il tema dell’imprenditorialità, in particolare delle condizioni non economiche dell’agire imprenditoriale come prodotto di una battaglia culturale per l’autonomia del sud, e su questi temi Cassano sarebbe tornato più estesamente poco dopo, nel saggio per il fascicolo che la rivista Meridiana dedica nel ’98 allo sviluppo, Il Mezzogiorno dei destini incrociati.

«L’identità meridionale la si difende, rifiutando qualsiasi via banalmente imitativa dei modelli prodotti altrove, prestando grande attenzione alla dimensione non economica della vita, ma anche recuperando e valorizzando la capacità di intraprendere. Una autonomia solo culturale sarebbe incompleta se non fosse coronata da una autonomia economica, dalla crescita di un tessuto di imprese meridionali».

Naturalmente il Sud che Franco Cassano ha di fronte, e di cui si avverte l’eco in questi scritti, è il Sud degli anni ’90, in cui sembra che in alcune aree si stia diffondendo una certa atmosfera marshalliana, il sud dei sistemi produttivi e di alcuni distretti industriali nati a ridosso dei processi di deindustrializzazione degli anni ’80 e dove hanno funzionato legami di causalità circolare fra favorevoli condizioni di contesto e sviluppo delle imprese. Il sud esportatore descritto da Gianfranco Viesti e Giorgio Bodo nel volume su La Grande  Svolta, dove il cambiamento sembra possibile, il sud dove nelle università gli storici cominciano a rivisitare il tradizionale paradigma meridionalistico novecentesco dualistico e risarcitorio.

È un sud, ancora con forti differenziazioni interne ma che può contare su gli impulsi verso al cambiamento che provengono dall’Atto Unico e da Maastricht. Infatti il declino delle capacità competitive delle industrie europee sta inducendo l’Europa ad abbandonare il modello corporatista  e dirigista  fino ad allora utilizzato nelle politiche industriali (aiuti ai settori in crisi, politiche a favore della concentrazione delle imprese, accordi di mercato, eurosclerosi) per  un nuovo modello di economia imprenditoriale in cui le piccole imprese assumevano un ruolo inedito,  cosa che nel 2000 porta all’approvazione al consiglio di Lisbona della Carta delle piccole imprese esplicitamente influenzata dall’esperienza italiana dell’industrializzazione diffusa dei distretti e dei sistemi locali.

Al dibattito e agli orientamenti di quegli anni Franco Cassano aggiungeva alcune notazioni di rilievo su come definire e scegliere le politiche industriali del nuovo sviluppo ed i caratteri di quest’ultimo. Si tratta di indicazioni solo abbozzate rispetto ad una loro concreta realizzazione ma decisive per illuminare a pieno le sfaccettature di un progetto difficile che doveva penetrare nell’agire sociale ed economico della società meridionale.

Il punto di riferimento centrale rimane la costruzione dell’autonomia del sud, per cui in primo piano devono essere scelte che privilegino quei sistemi di imprese che siano capaci di rafforzare il ruolo ed il significato di beni pubblici identificati nella duplice accezione di beni materiali ed immateriali.  Essi si caratterizzano per essere contemporaneamente non solo una condizione dello sviluppo ma il suo risultato, non solo acquisizioni concrete ma anche identità, legalità, tutela dell’ambiente, legami di senso tra uomini e luoghi.

Un’idea molto complessa di sviluppo, di ricchezza e anche di povertà che imporrebbe scelte altrettanto complesse, ma non impossibili, di nuovo oggi quando il Mezzogiorno è al centro di un rilevante piano di investimenti europei il cui buon esito in termini di qualità, ci ha insegnato Cassano, è di nuovo legato alla qualità della politica, a una idea forte e ambiziosa del sud dentro l’Europa.

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