Il Sud al centro del Paese

Gianfranco Viesti

Il Covid ha messo in crisi alcune radicate certezze del nostro Paese, dall’efficienza del sistema sanitario lombardo, all’opportunità di un paese largamente in mano ai Presidenti delle Regioni, alla capacità del mercato di allocare sempre e con efficienza le risorse disponibili. Complice la necessità di definire il Piano di rilancio, sta riportando la discussione sul ruolo delle politiche pubbliche, in tutte le aree del paese.

È una «finestra di opportunità»: per costruire un paese più coeso socialmente e più forte economicamente, a tutte le latitudini. In questo quadro, la grande questione del Mezzogiorno deve essere al centro del disegno del Piano. Per più motivi.

Nessun paese può crescere senza il contributo di una parte così importante dei suoi cittadini e dei suoi territori; ma questo contributo può essere effettivo solo se progressivamente si creano le condizioni perché questo avvenga, riducendo le disparità nelle condizioni in cui avviene l’attività di impresa e i divari civili nell’istruzione, nella salute, nel welfare. Gli investimenti nelle aree più deboli di ciascun paese hanno un poi effetto moltiplicativo: la crescita delle regioni più indietro attiva produzione e importazioni da quelle più forti; fa crescere l’attività economica in tutto il paese.

Questo è nella stessa logica europea del programma Next Generation: a fronte di un indebitamento comune garantito dai contributi di ciascun paese al bilancio comunitario le risorse sono attribuite in misura maggiore a quei paesi che hanno maggiori difficoltà strutturali e che più stanno patendo gli effetti della pandemia. Sono questi indicatori che stanno portando in Italia risorse comunitarie molto maggiori rispetto al suo peso demografico; profondamente influenzati proprio dalle condizioni del Mezzogiorno. Nella logica europea del Next Generation, il benessere delle aree più forti d’Europa non viene dall’appropriarsi della quota maggiore delle risorse, ma dall’averle destinate alle aree più in difficoltà.

È questa la logica che dovrebbe guidare il piano di rilancio e l’intera politica economica italiana degli anni Venti. Puntare sul Mezzogiorno come una riserva strategica di crescita.

Rivedendo progressivamente, con pazienza, le tante scelte politiche asimmetriche compiute nell’ultimo decennio. Non con roboanti affermazioni di principio, o con quote di riserva di risorse che, come l’esperienza insegna, non sono poi mai raggiunte. Ma attraverso la concreta definizione dei progetti.

Vi è dunque un problema di quanto e di che cosa si farà al Sud: lo si vedrà con la versione definitiva del Piano di Rilancio che sarà inviata a Bruxelles. Quel che conterà saranno i particolari: gli effettivi progetti individuati e la loro localizzazione. Il disegno che, come un mosaico, emergerà dal mettere insieme tutte le tessere. Sarà fondamentale la circostanza che per ogni progetto, in ogni luogo, siano individuati i risultati attesi, gli effettivi miglioramenti che si determineranno, definiti con indicatori quantificati e misurabili. Gli impegni che l’attuale governo prenderà, e quelli che seguiranno saranno tenuti a rispettare, non solo con la Commissione Europea, ma anche e soprattutto con gli italiani.

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