Joe Biden, Janet Yellen e la politica economica USA

Antonia Carparelli

Per il secondo anno consecutivo il World Economic Forum, l’appuntamento che ogni anno riunisce a Davos i maggiori protagonisti dell’economia e della politica mondiale, si è svolto in modalità virtuale a causa della pandemia, dal 17 al 21 gennaio, sia pure con l’auspicio di un appuntamento in presenza a maggio prossimo. Una scelta obbligata che però non ha giovato alla visibilità mediatica dell’evento.

È un peccato, perché, ancora una volta, gli organizzatori sono riusciti a mobilitare personalità di spicco, che spesso hanno affidato ai microfoni del Forum messaggi interessanti e non rituali. Tra questi vale la pena di segnalare e commentare la lunga conversazione con Janet Yellen, la donna a cui il Presidente statunitense Joe Biden ha affidato la responsabilità del Tesoro Federale. Vale la pena di segnalarla non soltanto per l’importanza che la politica economica statunitense riveste per il futuro dell’economia europea e mondiale, ma anche perché le sfide e gli ostacoli che l’amministrazione Biden dovrà affrontare non sono molti dissimili da quelli che ha di fronte l’Unione europea.

 Janet Yellen è un’economista con un brillante percorso accademico e una carriera ancora più brillante nelle istituzioni. Negli anni ’90 fu parte dei Consiglieri economici del Presidente Clinton, cui seguirono varie posizioni di spicco nel Federal Reserve System, fino alla nomina a presidente della Federal Reserve nel 2014 da parte del Presidente Obama, posizione che ha tenuto fino al 2018. Con l’elezione del Presidente Biden, nel Novembre del 2020, è diventata la prima donna ad assumere l’incarico di Segretaria del Tesoro Federale.

Nella sua conversazione Janet Yellen ha qualificato la strategia di politica economica dell’amministrazione Biden come «una moderna politica dell’offerta» («a modern supply side economics»), differenziandola sia dalla tradizionale politica keynesiana sia dalle tradizionali politiche dell’offerta. Laddove le politiche keynesiane tradizionali elargiscono un sostegno indifferenziato all’economia, la nuova politica dell’offerta assicura un sostegno mirato, finalizzato alla modernizzazione dell’economia e alla crescita sostenibile. Laddove le politiche dell’offerta tradizionali puntavano sulla deregulation selvaggia e sull’abbassamento della tassazione del capitale, la moderna politica dell’offerta pone al centro l’aumento dell’offerta di lavoro, una crescita della produttività estesa a tutti i settori, una maggiore efficienza ed equità della tassazione.

La moderna politica dell’offerta pone al centro lo sviluppo umano e la sostenibilità ambientale. Aumentare l’offerta di lavoro significa infatti innanzitutto investire in capitale umano, non soltanto nell’educazione, ma nella creazione di condizioni di contesto che rendano il lavoro accessibile a tutti, e in particolare ai giovani genitori, ad esempio con l’offerta di asili nido e con crediti d’imposta mirati. Aumentare la produttività significa contribuire a una riduzione dei divari salariali, accrescere la ricchezza collettiva e promuovere la sostenibilità, anche attraverso una riqualificazione delle infrastrutture pubbliche e l’offerta di energia da fonti rinnovabili. Muovere verso un modello di tassazione più equo ed efficiente significa non soltanto ridurre le vistose diseguaglianze ma anche far sì che gli investimenti si indirizzino dove ci sono più risorse inutilizzate e non dove la tassazione è più bassa per effetto di una competizione fiscale aggressiva.

Sul piano internazionale, l’amministrazione Biden ha confermato a Glasgow il suo impegno nella lotta al cambiamento climatico, si è battuta in sede OCSE per la tassazione minima sulle società, ed è stata determinante ai fini del raggiungimento dell’accordo. Sul piano interno, ha messo in campo due importanti pacchetti legislativi che sono un’espressione concreta di questa moderna politica dell’offerta: l’Infrastructure Investment and Jobs Act e il Build Back Better Bill

L’Infrastructure Investment and Jobs Act, già approvato dal Congresso, mobilita 1200 miliardi di dollari per ricostruire la rete stradale, portuale e ferroviaria, per espandere la rete idrica ed assicurare l’accesso alla banda larga a tutti i cittadini, ma anche per promuovere gli investimenti necessari alla transizione climatica e all’inclusione sociale. Ma gli interventi ambientali e sociali più cospicui e significativi sono affidati al Build Back Better Bill, che si propone tra l’altro di estendere i programmi di assistenza sociale a favore dei redditi più bassi, di aumentare gli aiuti all’infanzia, di allargare i servizi forniti dal sistema sanitario pubblico (Medicare). Nell’ultima versione proposta, il pacchetto ha un valore complessivo di 1750 miliardi di dollari, e nelle intenzioni dell’amministrazione Biden dovrebbe essere finanziato con l’innalzamento dell’aliquota fiscale sui redditi milionari e con l’imposizione di redditi sulle società che attualmente sono praticamente esenti da oneri fiscali.

È un programma ambizioso, sia nella dimensione sia nel contenuto, di gran lunga più ambizioso dei programmi messi in atto a livello europeo, primo fra tutti Next Generation EU. Anche i programmi europei sembrano ispirati ai principi della «moderna politica dell’offerta» che guida la politica economica statunitense. Ma l’Unione europea non ha competenze dirette né in materia di welfare né in materia di tassazione. Su queste decidono invece i governi nazionali, i quali possono avere, e di fatto hanno, orientamenti molto diversi. Inoltre, la concorrenza tra paesi membri in materia di tassazione rende più difficile attuare correzioni significative della struttura delle imposte nel senso di una maggiore progressività.

Non che la politica economica di Biden-Yellen abbia vita facile. Per cominciare, il Build Back Better Bill, che contiene le misure più coraggiose sul piano climatico, fiscale e sociale, dopo l’approvazione alla Camera, si è arenato al Senato dove i democratici hanno una maggioranza molto ristretta. Le maggiori difficoltà riguardano proprio l’aumento dell’imposizione fiscale a carico delle società e delle classi di reddito più abbienti, e le misure sociali volte all’integrazione dei migranti. Ma l’opposizione al pacchetto riflette anche timori più diffusi sul suo impatto macroeconomico, e in particolare sul rapporto debito/PIL, che è ormai ben al di sopra del 130%, e sull’inflazione, che negli ultimi mesi del 2021 ha toccato il 7%, un tasso che non si registrava da quarant’anni.

Nella sua conversazione per il Forum di Davos, Janet Yellen è tornata a dare messaggi rassicuranti, sia sul debito sia sull’andamento inflazione, ma le inchieste di opinione sulla politica economica del Presidente e i segnali dei mercati danno indicazioni meno ottimistiche, mentre i venti di guerra che spirano nell’est dell’Europa gettano ombre pesanti sulle prospettive economiche globali.

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