Mundial 1982, ode per il Vecio e Pablito

Darwin Pastorin

Io c’ero e ho visto.

Ho visto un Don Chisciotte e i suoi prodi scudieri in azzurro rovesciare la sorte, superare critiche veleni e anatemi e conquistare l’universo, firmando la più bella impresa calcistica di sempre.

«Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo!», urlò Nando Martellini in diretta televisiva l’11 luglio 1982, quando l’Italia di Enzo Bearzot, soprannominato il Vecio da Giovanni Arpino nel romanzo Azzurro tenebra, conquistò, contro i tanti e i troppi, i veleni e i rancori, le nuvole d’ira, il Mundial di Spagna. Un’impresa epica, un’utopia realizzata, un bellissimo e struggente romanzo popolare. 3-1 alla Germania Occidentale al Santiago Bernabeu di Madrid, con il nostro presidente partigiano Sandro Pertini, in tribuna d’onore, al fianco del re Juan Carlos, felice come un bambino.

Io c’ero e ho visto.

Ho visto, a Siviglia, giovane inviato di Tuttosport, il Brasile dare spettacolo, battere URSS, Scozia e Nuova Zelanda, ballando football, in un clima di allegria e di bellezza: la Seleção, allenata da Telê Santana, sembrava capace di realizzare tutti i sogni possibili e impossibili, tra canti e meraviglia; la Seleção di Júnior, di Toninho Cerezo, del capitano gramsciano Sócrates, di Falcão, stella della Roma, del favoloso Zico e di Éder, dal sinistro potente come quello di Rivellino. Mentre l’Italia a Vigo, mi raccontava il mio amico e collega Marco Bernardini, si trovava nel pieno delle polemiche, degli insulti. Tre pareggi incolori contro Polonia, Perù e Camerun e qualificazione ottenuta come secondi nel girone e soltanto in virtù della miglior differenza reti rispetto al Camerun. E, ora, la nazionale del Vecio doveva affrontare l’Argentina di Maradona, campione del mondo in carica, e il Brasile grandissimo favorito.

E Rossi non aveva ancora segnato.

Già, Pablito. Bearzot lo aveva convocato, tra lo stupore generale e tra mille critiche e mille perplessità. Rossi era reduce da una lunga e ingiusta condanna per lo scandalo delle scommesse clandestine, aveva nelle gambe e nella testa soltanto tre partite e un gol (contro l’Udinese) con la Juventus. Ma il Vecio credeva ciecamente in lui, a tal punto da lasciare a casa il capocannoniere del campionato, Roberto Pruzzo della Roma. Bearzot non sentiva ragioni: il titolare doveva essere Paolo, il suo Paolo, senza se e senza ma.

Ora, eccoci a Barcellona, stadio Sarrià. Ecco l’Italia mettere sotto l’Argentina 2-1, con i gol di Tardelli e Cabrini, e la Seleção superare la Selección 3-1.

Pablito ancora a secco.

5 luglio 1982: Italia-Brasile. Il tutto o il niente. Ai verdeoro, per andare in semifinale, basta il pari, in virtù della rete in più realizzata a Dieguito e compagni.

Ore 17,15. Un caldo d’inferno. Alla vigilia molte, stonate sirene cercano di convincere il Vecio a lasciare fuori Rossi per dare spazio, al fianco di Graziani, ad Altobelli. Ma Enzo non vuole sentire ragioni: crede nel suo Pablito ed è sicuro che sarà lui il protagonista di quel match apparentemente, solo apparentemente, senza storia.

E in quel 5 luglio, tutto si capovolge, gli azzurri superano la Seleção 3-2, con una tripletta del rinato Rossi. A nulla servono gli acuti di Sócrates e Falcão, e all’ultimo minuto il capitano Dino Zoff, 40 anni, compie una autentica prodezza su un colpo di testa del difensore centrale, di origini italiane, Oscar Bernardi. Palla bloccata sulla linea, con un volo sulla sua sinistra. I brasiliani, disperati, invocano il gol: l’arbitro israeliano Klein fa segno di continuare. E poco dopo fischia la fine. L’Italia del pallone ha scritto la più bella pagina della sua storia. Non solo calcistica, ma sociale e letteraria. La nostra nazione si ritrova ebbra di felicità.

E i ragazzi del Vecio non li ferma più nessuno: 2-0 alla Polonia in semifinale, doppietta di Pablito, 3-1 alla Germania Occidentale, Rossi Tardelli Altobelli, nella finalissima.

Io c’ero e ho visto.

Il trionfo del Vecio. La rinascita di Paolo Rossi: capocannoniere con sei reti e miglior giocatore della manifestazione, infine Pallone d’Oro.

L’Italia che, dopo anni di terrore e dolore, si riversa per strade e piazze avvolta dal tricolore e dall’azzurro, finalmente allegra e spensierata. Un’Italia liberata, incredula, innamorata. Grazie a un condottiero senza timori o tremori e a un gruppo di valorosi in grado di compiere, contro ogni pronostico, l’impresa.

Io c’ero e ho visto.


Per approfondire
Darwin Pastorin, Lettera a Bearzot. Il Vecio, Pablito, il Mundial ’82 e altri incantesimi (Compagnia editoriale Aliberti)

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