Otto marzo, mobilitazione e bilanci

Antonia Carparelli

Per chi riconosce nella parità di genere l’attuazione di un diritto umano fondamentale, l’8 marzo, giornata internazionale della donna, non è soltanto un’occasione di mobilitazione e di impegno civico, ma anche un momento di analisi e di bilanci. E il bilancio dei progressi compiuti negli ultimi non è certo rassicurante.

L’indice di parità di genere per il 2021, pubblicato a ottobre scorso dall’Istituto Europeo per la Parità di Genere (EIGE) suggerisce che, per l’Unione europea nel suo insieme, l’indice è migliorato solo marginalmente negli ultimi due anni, e che ai ritmi attuali occorreranno almeno tre generazioni per conseguire una piena parità di genere. Per la precisione, il valore dell’indice è attualmente 68 (era a 66,9 nel 2019) e quindi la distanza da 100, che sarebbe il livello di piena parità, è ancora di ben 32 punti.

Per comprendere meglio le ragioni e il significato di questo risultato è importante aver presente che l’indice d’insieme è ricavato da sei indici specifici, che coprono altrettante dimensioni delle diseguaglianze tra i sessi: il lavoro, il reddito, la conoscenza, l’impiego del tempo, la salute e il potere. Le dimensioni in cui l’eguaglianza di genere appare più lontana, in tutti i paesi europei, sono quelle della distribuzione del potere, dell’impiego del tempo, del lavoro e della conoscenza.

Con una precisazione importante sulla dinamica di questi indici: le donne avanzano, sia pure gradualmente, sotto il profilo dell’accesso a posizioni di potere, ma in tutte le altre dimensioni i progressi compiuti negli ultimi due anni sono nulli o solo marginali.

Il quadro per l’Italia è ancora più sconfortante. L’indice totale, dopo un decennio di miglioramenti, è rimasto sostanzialmente stazionario dal 2019 e al 2021, e lo scorso anno l’Italia è perfino scesa di un posto nella classifica europea: attualmente occupa il quattordicesimo posto, con un indice pari a 63,8, quindi oltre quattro punti al di sotto della media europea.

Se guardiamo agli indici specifici scopriamo che l’Italia si colloca al di sotto della media europea in quasi tutte le dimensioni, con la sola eccezione della salute, ambito nel quale l’Italia supera leggermente la media europea. Per l’Italia l’indice relativo alla salute è 88,4, a fronte di una media europea di 87,8. È questo sicuramente un dato incoraggiante, perché indica che le donne italiane, in media, non hanno molto da invidiare a quelle di altri paesi europei, in termini di aspettativa di vita, di accesso ai servizi sanitari, di stili di vita sani. Ma le ragioni di compiacimento si fermano qui, perché in tutte le altre dimensioni il quadro appare molto più problematico.

Com’è facile immaginare, il dato più disastroso è quello relativo alla dimensione lavoro, dove il distacco dalla media europea è di quasi otto punti (63,8 contro 71,6) e l’Italia precipita all’ultimo posto nella classifica europea.

Conosciamo bene la realtà sottostante quest’indice. Le statistiche dell’Eurostat ci dicono che il tasso di occupazione femminile in Italia è di oltre quattordici punti inferiore alla media europea (52,1% contro 66,2 % nel 2020) e un’analoga differenza si riscontra nei tassi di partecipazione al mercato del lavoro (54,7 contro 67,5).

Se l’Europa intera è chiamata a fare uno sforzo considerevole per accrescere l’occupazione femminile, per l’Italia la distanza da colmare è quasi abissale. Il tema è stato al centro dell’attenzione negli ultimi tempi, soprattutto in relazione alla preparazione del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR), perché la bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro è sicuramente uno dei fattori che penalizzano la produttività e la competitività dell’economia italiana, mortificando la crescita e la creazione di ricchezza.

Il lavoro delle donne non è solo importante per la crescita economica, ma ha vaste implicazioni per la crescita sociale e per la democrazia.  Non a caso i paesi con un basso indice nella dimensione del lavoro quasi sempre registrano risultati insoddisfacenti anche nelle altre dimensioni dell’eguaglianza di genere. L’Italia è sensibilmente al di sotto della media europea nella dimensione dell’impiego del tempo (59,3 contro 64,9), con un’enorme discrepanza tra donne e uomini nel tempo dedicato alla casa e alla cucina, oltre che naturalmente alla cura dei bambini e degli anziani.

Lo è anche per quanto riguarda la conoscenza (59 contro 62,7), soprattutto a causa della forte segregazione di genere nella struttura dell’occupazione, con una bassissima presenza di donne nei mestieri che richiedono competenze tecnico-scientifiche.  Quest’ultimo dato è tanto più preoccupante perché anziché migliorare è peggiorato nell’ultimo anno, e ciò malgrado il graduale aumento delle donne laureate nelle cosiddette discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).

L’unico indicatore in controtendenza è quello che relativo al potere, che negli ultimi anni è sensibilmente migliorato avvicinandosi alla media europea (52,5 contro 55). A questo risultato ha contribuito in maniera decisiva la legge 120/2011, meglio conosciuta come Legge Golfo-Mosca, che ha imposto alle società quotate di riservare al genere meno rappresentato almeno un terzo dei posti negli organi di governo. Nei board dei consigli d’amministrazione delle società quotate e partecipate le donne sono oggi oltre il 40%, e il Parlamento europeo ha espressamente indicato la legislazione italiana come un esempio da seguire sul piano europeo.

Naturalmente, su ciascuno di questi dati ci sarebbe molto da aggiungere e da commentare, ma questo bilancio sommario consente già di trarre alcune conclusioni importanti.

La prima è che l’Italia ha molto terreno da recuperare sul terreno della parità di genere, in un’Europa che nel suo insieme è chiamata a compiere sforzi decisivi per dare credibilità all’impegno a conseguire entro il 2030 l’obiettivo 5 della strategia per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

La seconda è che gli sforzi maggiori dovranno concentrarsi sull’occupazione femminile, perché è qui che l’Italia presenta il divario maggiore rispetto alla media europea e perché da una crescita dell’occupazione femminile dipende in larga misura il miglioramento degli altri indicatori di parità.

La terza è che azioni positive attuate con decisione possono innescare cambiamenti rapidi e duraturi, e accorciare notevolmente i tempi per il raggiungimento degli obiettivi di parità di genere.

Il Governo italiano ha mosso alcuni passi importanti in questa direzione. Il PNRR ha individuato la parità di genere come una delle tre priorità trasversali da perseguire in tutte le missioni che lo compongono ha previsto una serie di misure – investimenti e riforme – intese a favorire l’occupazione femminile e ad accrescere l’offerta di servizi sociali (soprattutto asili nidi). Inoltre, in linea con gli impegni assunti al momento della presentazione del Piano, ad agosto il governo ha approvato la prima strategia nazionale per la parità di genere, che copre il periodo 2021-2026.

La strategia si propone di raggiungere entro il 2026 l’incremento di cinque punti dell’indice sull’uguaglianza di genere, un traguardo che consentirebbe all’Italia di eguagliare la media europea.  È un obiettivo decisamente ambizioso, se si considerano le tendenze degli ultimi anni, ma che dà molto da pensare su quanto la meta dell’eguaglianza di genere sia ancora lontana, anzi lontanissima.

Un’ultima osservazione.

L’indice di eguaglianza di eguaglianza di genere dell’EIGE non include la dimensione «violenza di genere», perché mancano dati comparabili a livello europeo, ai quali si sta ancora lavorando. Ma non occorre aspettare la pubblicazione dell’indice per sapere che si tratta di un’area dolorosamente critica, come ci ricordano le statistiche del ministero dell’interno che segnalano ben 119 femminicidi nel corso del 2021, di cui circa il 60% compiuti da un partner o da un ex-partner. Ma le vittime di femminicidio sono solo la punta dell’iceberg di una violenza diffusa, che si consuma ogni giorno nelle famiglie, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, per le strade, sui social network, e che sollecita una battaglia fermissima, da condurre senza risparmio di mezzi.

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