Quale Italia dopo la pandemia?

Giovanna Casadio

Renato Natale è stato amico di don Peppe Diana. Quando don Diana venne ucciso dalla camorra, era sindaco di Casal di Principe per la prima volta. Poi smise, tornando a fare solo il medico. Ha attraversato tutte le battaglie dei casalesi contro i Casalesi, dei cittadini onesti a cui è stata tolta «persino l’identità del nome». É di nuovo sindaco dal 2014. Alla fine del lockdown, in questa Fase 2 ha una grande paura: «L’avevamo spuntata. Questa non era più la Gomorra descritta da Roberto Saviano. Ma se ora la povertà dilaga, torna ad essere Gomorra».

Novanta giorni di pandemia lasciano sul terreno molte macerie e una catena di interrogativi. Duplici. Sulle emergenze di domani e sulla prospettiva dell’Italia. Quale Italia, adesso?

Sarà l’Italia della povertà?
Nel pieno del lockdown il governo Conte ha stanziato 400 milioni per i buoni spesa che sono stati distribuiti dai comuni. Ciascun sindaco ha avuto il suo budget e stabilito i criteri per assegnare i voucher alimentari. Sono serviti a fronteggiare la fame. Perché l’impoverimento è stato forte e diffuso, città per città, con situazioni certo più drammatiche al Sud, ma non solo. Sono stati i sindaci a scrivere la contabilità della fame. Leoluca Orlando a Palermo ha avvertito subito della saldatura della miseria con la criminalità nella rivolta dei supermercati. La povertà manovrata da sciacalli criminali. Dopo l’entrata in vigore del Decreto Rilancio, quello dei 55 miliardi di euro, che ha previsto il reddito di emergenza, in poche ore sono state depositate 20 mila richieste. Ma persino nella benestante Ravenna, i postumi del virus hanno messo in ginocchio le famiglie. Il sindaco Michele De Pascale si è inventato un patto con l’Inps locale e con la Camera di commercio per anticipare la cassa integrazione e i 600 euro per gli autonomi: soldi che non arrivavano dallo Stato. Ha spiegato: «Le famiglie hanno dato fondo ai loro risparmi, ai fidi, hanno chiesto aiuto ai genitori, ed erano allo stremo.  E io non potevo pensare che noi Comune avevamo la cassa piena e loro le tasche vuote».

Sarà l’Italia dei soldi marci?
Con un terzo delle attività commerciali che di sicuro non riapriranno e una crisi di liquidità mai vista, la lunga mano delle mafie è dietro l’angolo. Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho l’ha riassunto così: «Le mafie approfittano della sofferenza della gente. Per questo lo Stato deve intervenire con urgenza dando liquidità, ma continuando ad effettuare controlli». Il Viminale ha diffuso un dato: i reati di usura nei primi mesi dell’anno sono cresciuti di +9,6% rispetto allo stesso periodo del 2019.

Sarà l’Italia del grande indebitamento?
Oltre allo sforamento del debito pubblico, entra qui in ballo il rapporto con l’Europa. Gli strumenti che abbiamo a disposizione per avere soldi, dal Recovery Fund al Mes (il Meccanismo europeo di stabilità) per citarne due, dividono la maggioranza che regge il governo: Pd contro Movimento 5Stelle, e soprattutto vedono il presidente del Consiglio schierato per un no ai 36 miliardi del Mes con interessi allo 0,1per cento investimenti esclusivi sulla sanità. Teme che l’Italia venga marchiata come Pigs (con Portogallo, Grecia e Spagna). La partita economico-politica è aperta. Segnerà non solo il futuro prossimo ma anche la prospettiva e la visione del paese.

Saremo più europei o meno europei?
Su questo si gioca a più mani, quanti sono i paesi dell’Unione europea, dove Germania e Francia continuano a dare le carte. Ma è la partita decisiva, perché o nasce adesso la Federation Light, l’ultima scommessa del sogno degli Stati Uniti d’Europa, o non c’è scampo per una lenta disgregazione. Due europeisti convinti, Emma Bonino e Romano Prodi ricordano la metafora di Jacques Delors: l’Europa è come una bicicletta, o si pedala o si cade.

Avremo sconfitto il populismo?
Se è vero che l’Italia è stata incubatrice del populismo, o meglio dei diversi populismi di Lega e 5Stelle, il rischio è che si possa ritornare a un punto di partenza dal quale, forse, ci eravamo allontanati. Il sistema politico è sul banco degli imputati, nonostante l’emergenza sanitaria abbia congelato qualsiasi cosa. Ma ha anche svelato la doppiezza dei 5Stelle, le ricette irrisorie della Lega, il fiato corto di scissioni e scissioncine, la fragilità di una sinistra arroccata.

Di quali politiche pubbliche saremo capaci?
Nel passato recente c’è stato un restringimento della sanità pubblica, un mancato investimento nella scuola, nell’educazione e nella ricerca e in tutti gli strumenti di protezione sociale. Ma il virus ha mostrato che invece lì occorreva puntare. Quando il virus attacca, la sanità pubblica e diffusa sul territorio consente di arginare la malattia in modo assai più efficace. Lo scontro sul modello lombardo di sanità dovremo sfrondarlo dalle strumentalizzazioni di parte, ma non dimenticarlo mai più. Quando la scuola chiude e la si trasforma in insegnamento attraverso le piattaforme telematiche, se ne scopre l’indispensabilità, la funzione di argine delle diseguaglianze, di pari opportunità e di formazione umana e civile. Per questo, ripeteva Tullio De Mauro, la delega alla scuola e all’istruzione dovrebbe andare al presidente del Consiglio: è la più importante.

Dimenticheremo ancora bambini e giovani?
Nonostante l’allarme costante sul decremento demografico, la società bloccata e l’emigrazione giovanile, di giovani e bambini ci si interessa poco. Eppure l’indebitamento del paese peserà sulle spalle delle generazioni più giovani. Toccherà a loro pagarlo. Anche per questo le future scelte politiche li dovrebbero vedere al centro e protagonisti.

Avremo più disuguaglianza tra donne e uomini?
La pandemia ha aggravato una condizione femminile già penalizzata. Secondo i dati Istat sono il 49,9 per cento le donne che lavorano, fanalino di coda dell’Europa.  Al lavoro sono tornati nella fase due il 72 % di uomini e quindi meno del 30 per cento di donne. Anche se durante il lockdown molti dei servizi e attività indispensabili sono stati in mano alle donne: infermiere, medici ricercatrici, commesse dei supermercati. Potrebbe essere il momento del rilancio e del riscatto oppure aggravarsi il gap anche culturale sulla divisione dei ruoli nella famiglia, sulla  vera  parità salariale, sulla rappresentanza nelle istituzioni.

Saremo ambientalisti, cambieremo le città?
Dopo tanto dibattere sulle polveri sottili e la relazione con la diffusione del virus, l’ambiente e la sua difesa sembrano in cima all’agenda politica. A parole. I piani green, il Green new deal attendono traduzioni realistiche e non bugiarde né camuffamenti sulla base degli interessi economici in campo.

Saremo informati meglio o peggio?
Attraverso i suoi media, i grandi gruppi editoriali con forti interessi economici, la Rai nelle mani dei partiti, l’Italia si è raccontata e l’opinione pubblica è stata informata e formata. Ma i luoghi della comunicazione social, Facebook, Twitter, Instagram, i blog, esercitano una forte concorrenza e cambiano i punti di vista, a rischio fake è vero, eppure con una enorme capacità pervasiva e dissuasiva. Dalla crescita esponenziale di tutte le offerte digitali dei mesi di lockdown non si torna più indietro.

Siamo nel tempo della cultura orizzontale e se si usano vecchie prepotenze, è game over.

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