C’è ancora domani, irrealismo favolistico

Il primo film di Paola Cortellesi è un capolavoro, originale ed equilibrato

Giorgio Simonelli

Confesso: sono andato a vedere il film di Paola Cortellesi con qualche timore. Temevo di trovarmi di fronte un lavoro serio, corretto, impegnato nella denuncia della violenza domestica e delle follie del patriarcato ma prevedibile, triste, dai toni eccessivamente melodrammatici come specchio delle sofferenze diffuse nella condizione femminile del dopoguerra: insomma, complice anche il bianco e nero così esibito, un Matarazzo de sinistra.

Tutto sbagliato: posso aggiungere (a mia discolpa) che il timore che mi accompagnava aveva qualche giustificazione. Nasceva da quanto letto e soprattutto da quanto visto nelle varie occasioni di promozione del film, in particolare dalle sequenze mostrate un po’ troppo ampiamente e con scelta un po’ ripetitiva nel corso di Che tempo che fa. Io, dunque, per farla breve confesso le mie responsabilità, ma consiglio a chi di dovere di prestare più attenzione all’immagine che si costruisce preventivamente attorno al film, alla costruzione del paratesto per usare la definizione scientifica. Ma questi sono dettagli che, alla fine, hanno reso la sorpresa ancor più grande; veniamo alla sostanza.

Il film, non abbiamo paura a dirlo, è un capolavoro, così originale, così equilibrato nel dosare linee e toni del racconto, da sembrare incredibile per un esordio alla regia.

A renderlo tale concorrono varie scelte di sceneggiatura e regia.

La prima è semplicemente quella dell’ironia, dell’umorismo che interviene a punteggiare il racconto nei momenti drammatici con battute, iperboli, paradossi, ammiccamenti allo spettatore. Strepitoso quello di Delia che di fronte al rimprovero della figlia che la accusa di passività, di non fare mai nulla, non si oppone apertamente, ma guardando in macchina sussurra «’o dici te…». In realtà, ha appena fatto saltare in aria il bar dei futuri consuoceri. Su questo versante comico risulta prezioso il contributo del personaggio di Marisa nell’interpretazione di Emanuela Fanelli, irresistibile nella sequenza della camera ardente del suocero.

Ma l’ironia si spinge anche più in là, in un gioco più complesso che è quello dell’esasperazione degli stereotipi che vengono così sottolineati e nello stesso tempo ridicolizzati. È un po’ la tecnica utilizzata da Checco Zalone nella sua rappresentazione dei luoghi comuni sul meridione e che qui riguarda la romanità: le comari del cortile così comari da arrivare a una zuffa; la famiglia dei genitori del fidanzato di Marcella burini ripuliti e insopportabili; Alvaro così ingenuo da diventare un’esilarante macchietta.

Ma, oltre a un sapiente uso della comicità il film adotta un’altra soluzione inattesa: la dimensione fiabesca che interviene nell’intreccio. Al posto del temuto mélo o del neorealismo evocato dal bianco e nero, a imporsi è un irrealismo favolistico, con tutti i vari elementi tipici del racconto di fiaba individuati dalla celebre analisi strutturale di strutturale di Vladimir Jakovlevič Propp.

C’è l’eroe ovviamente, c’è l’aiutante nel personaggio del soldato americano di colore, completamente immerso in un clima fiabesco che raggiunge l’apice con l’esplosione che punisce i cattivi. E c’è anche il mezzo magico, la scheda elettorale nascosta, perduta e ritrovata magicamente nel momento decisivo, simbolo della vera soluzione del conflitto che non si trova nel chiuso della vita privata ma nella dimensione pubblica dei diritti.

Ad accentuare questa dimensione irrealistica c’è infine l’uso della musica, delle canzoni. La trasformazione della violenza domestica di Ivano su Delia in una sorta di balletto sulle note di Nessuno, una famosa hit di Mina, è un vero colpo di genio. Il finale con il coro di donne che si chiudono provocatoriamente la bocca seguendo le parole del brano di Daniele Silvestri è un’antifrasi audiovisiva da brividi. All’improvviso, negli snodi narrativi fondamentali il film prende una forma impensabile (e forse impensata dagli tessi autori?), quella del musical, in cui il canto e il ballo non hanno solo la funzione di commento ma fanno parte dell’azione.

Incredibilmente (ma non troppo) il primo film di Paola Cortellesi è un musical. Impegnato, di denuncia, ma proprio un musical, un gran bel musical.

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