La musica e l’arte per vincere la dittatura

Giorgio Simonelli

Anche se la cosa può sembrare strana, specie in un paese che ha sempre considerato il musical come un genere cinematografico bizzarro e marginale, uno dei film più interessanti da un punto di vista culturale degli ultimi mesi è Ballo Ballo.

Si tratta appunto di un musical di origine spagnola, ideato e diretto da Nacho Alvarez che, anziché sugli schermi delle sale dove avrebbe avuto maggiore valorizzazione per le sue caratteristiche, circola sulla piattaforma Amazom Prime.

Ciò che ha attirato qualche attenzione sul film è il fatto che la parte musicale, fondamentale nel genere, non è originale ma è costituta dai più celebri brani di Raffaella Carrà (presente anche in fugacissima apparizione finale). Ma il film è molto di più e ha altre componenti molto interessanti. La trama è ovviamente molto convenzionale. In tutti i musical, dicono gli studiosi, c’è sempre la stessa storia: boy meets girl. In questo caso girl meets boy.

Siamo nel 1973 e Maria, una ragazza che sta per sposarsi a Roma, all’ultimo momento, già con un sontuoso abito bianco, molla tutto e ritorna a Madrid. Il suo sogno è ballare alla televisione spagnola. L’incontro rocambolesco con un ragazzo la introduce nell’ambiente, ma lì nascono i problemi, perché quella tv è piena di divieti e censure, al punto che le gonne delle ballerine vengono misurate prima di andare in onda in modo che non siano troppo corte. A governare la censura ci sono un vecchio signora franchista e Pablo, il giovane di cui Maria si è innamorata (ricambiata) e che sta per prendere il delicato e imbarazzante ruolo del padre.

Seguono vicende di amore e incomprensione, liti e sotterfugi narrati attraverso le canzoni della Carrà: Tanti auguri più nota come Com’è bello far l’amore…, Luca, Tuca Tuca, A far l’amore comincia tu, 5343456 e altre meno note da noi come Adio amigo. Come in ogni musical che si rispetti le parti cantate e ballate non sono solo di commento all’azione ma azione stessa, parte della storia che così arriva al finale: nel corso della popolarissima trasmissione di Capodanno, in onda in diretta, Maria già impegnata in un balletto piuttosto sexy viene spogliata su ordine del censore, per generare uno scandalo. Ovviamente accade il contrario: alto gradimento da parte del pubblico, critica favorevole, la tv deve tener conto dell’evoluzione dei costumi e tutti (Maria, Pablo, i loro parenti e amici) vivranno felici e contenti.

Sarebbe un grave errore confondere la prevedibilità della trama con il senso di tutta l’operazione che è alquanto raffinata. Intanto il film ha qualche pregio formale nelle coreografie, nella scelta decisa ma coerente di un colore eccessivo, nell’uso citazionista dei topoi cinematografici, con il riferimento costante a Vacanze romane. Ma c’è di più: è sul piano storico che il film offre spunti davvero interessanti, a vari livelli.

Il primo riguarda la storia della televisione e quel particolare rapporto tra la tv spagnola e quella italiana. Per molti anni tra i Cinquanta e i Sessanta, la Rai, quella Rai democristiana, moderata e morigerata, fu il modello additato dal franchismo per la costruzione e la gestione della Tve. L’aneddoto della misurazione delle gonne delle ballerine non è un’iperbole, allude a famosi episodi avvenuti proprio nei varietà della Rai.

Poi accadde che proprio quel modello tanto riconosciuto e celebrato, con le aperture della fine anni Sessanta cambiasse rapidamente e decisamente, creando non pochi problemi alla consorella.

Da qui parte il secondo tema che il film propone. Quel cambiamento molto evidente nella rappresentazione del mondo della tv italiana dei primi anni Settanta, particolarmente clamoroso nell’uso del corpo femminile, quel fenomeno che ha come simbolo l’esibizione dell’ombelico di Raffaella Carrà, ma che in realtà presenta molte altre manifestazioni, che significato ebbe nella storia del paese? Per anni ricordato solo come un gioco divertente o eccessivo, una furba o sciocca provocazione, ha avuto nelle ultime stagioni il riconoscimento di avanguardia artistica.

Così l’artista Francesco Vezzoli lo considerava qualche anno fa, inserendolo con grande rilievo nella sua mostra alla fondazione Prada Tv 70, dedicata alle immagini della televisione italiana di quel decennio, al loro ruolo rivoluzionario, dirompente, ammirato e copiato da tutte le tv europee. E anche nel dibattito sull’evoluzione del ruolo delle donne nella società italiana, a quegli episodi, considerati tipico esempio di volgare sfruttamento del corpo femminile (si pensi all’invettiva di Pasolini sulle Kessler) viene riconosciuto un ruolo positivo nel processo di liberazione ed emancipazione.

E da qui torniamo alla Spagna tardofranchista, alle componenti politiche, economiche, sociali e culturali che resero possibile la fine dell’orrendo regime. Nei mesi che, un paio di anni fa, ho vissuto a Madrid, coincidenti con il quarantesimo anniversario della nuova Costituzione ho visto molte iniziative di rievocazione del passaggio dalla dittatura alla democrazia: spettacoli teatrali, mostre.

Una in particolare organizzata al Museo archeologico mi ha colpito: rievocava il ruolo che, nell’incrinare il franchismo ebbe la musica, anche la musica pop, i concerti e il consumo di canzoni. La scena finale di Ballo Ballo racconta con magnifica sintesi immaginaria proprio questo: il ritmo coinvolgente di Fiesta scatena una sarabanda a cui partecipano tutti i personaggi: Maria con Pablo, la sua amica con l’ex promesso sposo di Maria, il giovane gay che nascondeva il suo orientamento («Luca; Luca cosa ti è successo») con un compagno, il vecchio censore con una nuova fiamma, mentre il funzionario maschilista che insidiava Maria, tradendo la moglie incinta, ora fa ballare sulle ginocchia la sua neonata scuotendo a tempo il biberon, nel più divertente dei contrappassi e in sintonia con una concezione moderna della paternità.

Il costume di casa sta cambiando al ritmo travolgente di una canzonetta pop e il silenzio e il grigiore del franchismo lasciano il posto ai colori e al rumore («rumore, rumore» direbbe la Carrà) della libertà. Come nella cornice che avvolge uno dei più bei film di Pedro Almodóvar, Carne tremula.

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