L’Italia impantanata

Luigi Vicinanza

Un filo nero lega l’anti-antifascismo del presidente del Senato a un dato, 0,3 %, fornito dal MEF, il ministero dell’economia e delle finanze. L’Italia non cresce. Stenta. Arranca. Non sa creare ricchezza, nonostante la pioggia di miliardi fatta balenare con il PNRR. Anzi, il problema è proprio lì. Avremmo risorse disponibili ma non siamo in grado di spenderle. Altro che «Pronti». Lo slogan elettorale di Giorgia Meloni si sta rivelando per quel che era: propaganda.

Così, messi alla prova del governo, tra le sorelle e i fratelli d’Italia sta riemergendo un antico e mai sopito spirito di rivincita sulla storia patria, quella con la S maiuscola. Poiché oggi comandiamo noi, poiché la gente ci ha votato, ragionano, possiamo farci beffe della verità, possiamo sfregiare l’antifascismo, possiamo rinnegare quella stessa Costituzione su cui pure abbiamo giurato per arrivare a occupare il Palazzo. Consapevoli, le sorelline e i fratellini del quartierino, che il loro volgare e infondato rifiuto del passato recente non possano passare sotto silenzio. Reagiscono i media, i social, quella parte dell’opinione pubblica non assuefatta al peggio. Ma, paradossalmente, è questo l’intento voluto. Una pianificata campagna di distrazione di massa. Lo sguardo rivolto all’indietro per non scrutare il presente. Grigio. Poco esaltante.

Il negazionismo dell’italianissima brutalità del fascismo, l’attacco ai diritti civili, l’insensibilità mostrata verso temi tanto delicati quanto vitali come maternità, adozioni, vita di coppia tradiscono non solo un modo di concepire la società fuori dal tempo. Ma mostrano l’arroganza intellettuale di ridurre a una semplicità inesistente un mondo che semplice non è più. E forse non lo è mai stato. Il linguaggio utilizzato in queste settimane da molti esponenti della maggioranza – tipo: la famiglia vera è formata da una mamma e da un papà, con figli naturali – vuole sembrare rassicurante. Si rivolge a un’immaginaria maggioranza silenziosa. Ma proprio questa banale alterazione del mondo reale rende inquietanti le loro parole. È da almeno mezzo secolo che gli italiani hanno adottato stili di vita più laici. Al confronto di certi esponenti della destra-destra, persino la Chiesa appare meno bacchettona.

Tutto questo chiasso pseudoculturale punta a non affrontare i problemi economici del Paese. La destra ha vinto le elezioni politiche perché è apparsa agli occhi dei ceti popolari in grado di dare risposte concrete alla depressione economica in cui è precipitata l’Italia prima con il Covid poi con la guerra scatenata dalla Russia. Persino la classe operaia del nord ha votato la Meloni.

Ma quello 0,3 per cento in più di Pil ipotizzato dal MEF per quest’anno rivela che l’economia non decolla. Il centro studi di Confindustria parla di uno 0,4. Il Fondo monetario internazionale ipotizza lo 0,6 e l’UE arriva allo 0,8. Tutte percentuali infinitesimali. Insoddisfacenti. Anche se, va detto per onestà, l’intera Unione Europea calcola per quest’anno una crescita sotto l’1 per cento. La variante italiana consiste in una gestione ingarbugliata dei progetti del PNRR; si procede con difficoltà per la cronica lentezza della nostra pubblica amministrazione. Dal governo ci si aspetterebbe un discorso di verità. Invece Giorgia Meloni è in tensione sia con i partner dell’Unione Europea sia con il suo predecessore, Mario Draghi, su cui sta cercando di scaricare la responsabilità dei ritardi accumulati.

Però non tutto il fronte economico è impantanato. La Lega sta portando a casa un risultato inseguito da decenni, l’autonomia differenziata tra le regioni. Nella versione Calderoli, è una riforma che spacca l’Italia tra aree ricche e aree deboli. Così come la riforma del fisco, sempre targata Lega, è destinata ad aumentare le disparità tra lavoratori autonomi e dipendenti. Infine, il nuovo codice degli appalti che Salvini si è intestato. Nuove sperequazioni in vista, mascherate dal giusto scopo di accelerare l’apertura dei cantieri.

Un clima da controriforma destinato a lacerare ancor più di oggi la nazione e ad accrescere il solco delle diseguaglianze sociali e territoriali. Insomma, più che fascisti immaginari, abbiamo davanti a noi, all’opera, dei concreti reazionari.

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