La commedia (nel cinema italiano) è più forte di Netflix

Giorgio Simonelli

Sfidando le ire di molti lettori (e forse anche del direttore) e a costo di essere considerato il solito anziano che rimpiange la tv del passato con solo due canali e senza telecomando, be’ io dico una cosa scandalosa: a me pare che Netflix sia un po’ sopravvalutata.

Sopravvalutata sul piano quantitativo, non solo per il numero mai ben definito degli abbonati ma anche per il suo reale peso nella costruzione dell’immaginario e delle opinioni. Sopravvalutata sul piano qualitativo, nelle manifestazioni di interesse, di consenso, di entusiasmo che l’informazione riserva ai suoi prodotti.

Vi faccio un esempio recente che mi ha colpito. La buona notizia riguardante il film, Era ora, di Alessandro Aronadio che risulta il più visto sulla piattaforma tra quelli non in lingua inglese è stata ampiamente diffusa sui giornali accompagnata da servizi, recensioni, interviste soprattutto al protagonista Edoardo Leo.

La Stampa che con la nuova direzione ha ampliato lo spazio riservato al cinema (anche in questo caso come titola il film: era ora) dedica al film un’intera pagina. Spicca la recensione di Assia Neumann Dayan: leggendola parrebbe che il film si collochi a livello delle opere di Truffuat. In realtà, o meglio a me, pare un filmetto carino nel sorprendente inizio e poi via via sempre più prevedibile.

La storia è quella di un quarantenne, Dante, che dopo ogni compleanno si ritrova nell’anno successivo senza ricordare nulla di quanto gli è accaduto in quei dodici mesi. Il meccanismo, tratto dall’australiano Come se non ci fosse un domani, all’inizio piacevole e intrigante dà poi il via a tutte le situazioni più consuete e dejà vu. Il matrimonio, la gravidanza di Alice di cui Dante non ricorda nulla, la nascita di una bimba e le difficoltà che un nuovo arrivo crea all’interno della coppia, l’insoddisfazione di Alice che non riesce a fare del suo talento di disegnatrice una professione, la malattia senile del padre a cui Dante ha qualcosa da rimproverare  e quella del migliore amico che invece si risolve felicemente, la crescita nella carriera e la crisi coniugale con il tradimento occasionale di lui (con una collega che poi si rivelerà ovviamente più attratta dal suo stesso sesso) e quello più duraturo di lei con un guru dello yoga, le tenerezze della figlia un po’ cresciuta che vorrebbe il padre più vicino, i tentativi di riconciliazione prima andati a vuoto e poi riusciti nell’happy end.

Insomma, tutto l’armamentario del racconto sentimental-familiar-generazionale che ha già riempito decine di film italiani. Ma c’è di più: nella stessa pagina di La stampa l’attore protagonista, Edoardo Leo, oggi uno degli interpreti più quotati e impegnati del cinema italiano, sostiene in un’intervista che il grande successo di Era ora è quello di aver esportato in 190 paesi un esempio della vitalità della commedia italiana che ultimamente si stava un po’ depotenziando.

Ecco: il punto (dolente) è proprio questo. Come è noto, quando si parla di commedia nel cinema italiano, il discorso non può che portare a quella che si definì commedia all’italiana e che rappresentò un momento di splendore del nostro cinema. Ma quella commedia aveva una grande capacità di rappresentare, leggere, criticare la società contemporanea, le relazioni personali e sociali. Nel film di Aronadio il mondo esterno non esiste: non quello del lavoro, se non all’interno dei più vieti cliché (l’azienda fantozziana, la segretaria vamp, il maestro di yoga), non quello dell’infanzia, non quello delle altre famiglie. Siamo lieti del successo internazionale sulle piattaforme Netflix di tutto il mondo, dunque, ma, per favore, possiamo dire che la tradizione della commedia nel cinema italiano ha ben altro spessore?

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