Lo Statuto dei lavoratori, la dignità e i diritti

Guglielmo Loy

Una prima considerazione: se nel dibattito, non solo tra esperti, si riflette e discute sulla attualità di una legge a 50 anni dalla sua approvazione, vuol dire che essa è un caposaldo del nostro sistema legislativo sul lavoro e non solo.

Lo è non perché sia intoccabile, non essendolo neanche la Carta Costituzionale che rappresenta la legge fondamentale del nostro Stato ma perché rappresenta la prima legge con cui alcune tutele e diritti previsti dalla Costituzione, vengono traslati nel mondo del lavoro, allora costituito prevalentemente dalle fabbriche.

Non mi riferisco, nello specifico, all’introduzione del tanto agognato e dibattuto sistema di tutela contro l’illegittimo licenziamento che richiama inevitabilmente l’articolo 18 (un articolo che purtroppo è stato oggetto negli ultimi anni di un depauperamento di tutele per le lavoratrici e lavoratori), né ad un altro articolo portante ed importante dello Statuto quale l’articolo 7 in tema di procedimento disciplinare (che per la prima volta legittima una sanzione disciplinare solo a seguito dell’effettiva conoscenza delle infrazioni e delle relative sanzioni da parte del lavoratore, in base al principio costituzionale di legalità contenuto nell’articolo 25, 2 comma della Costituzione), quanto alla vera essenza dello Statuto che considero il cuore pulsante di questa legge: la questione dignità delle lavoratrici e dei lavoratori.

Lo Statuto non è, infatti, solo una legge che regola il rapporto tra impresa e lavoratore, peraltro ampiamente normato anche da altre normative e da una variegata esperienza contrattuale, ma uno strumento di ben più ampia portata e, per comprenderlo, è sempre importante rileggere i titoli  di cui si articola la legge in cui il sostantivo dignità viene direttamente e indirettamente richiamato: della libertà e dignità del lavoratore, della libertà sindacale, dell’attività sindacale e, non meno importanti, le disposizioni varie e generali che contengono norme di  grande aderenza al tema della dignità.

Quindi la dignità che è qualcosa di più dei diritti, una dignità che rende sempre attuali i principi dello Statuto dei Lavoratori e che supera anche la disquisizione circa l’attualità o meno della legge. La supera perché questa legge, nonostante il suo mezzo secolo di storia, ha mantenuto saldo un principio attualissimo: individuare il massimo delle tutele (e la dignità) con la tenuta occupazionale.

Oggi potremmo dire, in linea generale, che sono norme che hanno interiorizzato il concetto di compatibilità. Uno schema che ha caratterizzato, anche se con alti e bassi, tutto ciò che ruota intorno al tema del rapporto impresa/lavoratore anche attraverso lo strumento principe: la contrattazione.

E se per 50 anni si è discusso se fosse opportuno intervenire per modificare, ma non per stravolgere, l’impianto della legge 300, significa che la matrice riformista che l’ha generata era solida e radicata nel tessuto sociale ed economico. Direi, anzi, che questa matrice l’ha resa adattabile anche nel pieno dei grandi cambiamenti che hanno caratterizzato la società, l’economia, il tessuto produttivo.

La grande rivoluzione tecnologica, cosi come il superamento dei muri e delle frontiere con la globalizzazione, hanno modificato non solo il rapporto con il lavoro, ma anche la relazione tra il percorso di studi e l’attività professionale, il concetto di produzione e dei cicli produttivi, la relazione tra orario di lavoro e tempi di vita. Si è profondamente modificato il rapporto tra consumatore e produzione, un consumatore globale che può scegliere tra più offerte e che costringe le imprese ad adeguarsi in tempo reale a queste richieste, modulando la propria organizzazione del lavoro e dei tempi di produzione.

Ciò, naturalmente, incide in maniera significativa anche sulla natura del lavoro spostando l’esigenza delle persone, dalla tradizionale ricerca di un buon e garantito stipendio alla garanzia di un reddito.

Ma questo ha radicalmente modificato la struttura fondante, almeno nel nostro paese, del lavoro subordinato? I dati ci dicono che la retorica sulla fine del lavoro, dell’espandersi del lavoro fragile e precario, sul superamento del lavoro subordinato, si è rilevata, nella sua forma più ideologica appunto, una retorica priva di fondamenta. O meglio, la precarietà non si misura solo sulla mancanza di stabilità formale del lavoro, ma anche sulla preoccupazione di non operare in un contesto aziendale sano, capace di innovarsi e competitivo.

Certamente è in corso da tempo un processo graduale, ma costante, di allargamento del bacino di lavoratori fragili, o meglio di lavoratori temporanei nella accezione più vasta del termine. Un tema vero, che va osservato e sul quale è necessario, come in parte è stato fatto, intervenire con spirito innovativo e ragionevole. Un mondo del lavoro eterogeneo in cui si sommano realtà strutturate e per certi versi garantite, altre più fragili e spesso sfruttate ed altre ancora in cui molte persone, anche per scelta, convivono.

Nel contempo i dati ci dicono che il minacciato crollo del lavoro subordinato mantiene una sua quota fondamentale e sostanzialmente stabile con i circa 17 milioni di persone. È questa la parte preponderante del nostro mercato del lavoro, un tessuto non statico, anzi in movimento che vede milioni di persone cambiare attività, per obbligo o per scelta, fenomeno naturalmente soggetto al quadro economico in cui si opera. Un tessuto che esprime imprese competitive ed altre più deboli, ma che richiedono persone formate, competenti e qualificate, e che operano, nella stragrande maggioranza dei casi, con le regole basilari delle leggi sul lavoro e della contrattazione. Una contrattazione concreta che non poteva dispiegare la sua funzione regolatoria senza la protezione delle persone, i lavoratori in generale e le rappresentanze sindacali in particolare. La contrattazione, quella centrale, ma soprattutto quella di tutti i giorni, nella impresa e nel territorio che può sviluppare la sua innovativa funzione solo se le parti, tutte, hanno pari condizioni, pari dignità.

Da questo punto di vista la forza dello Statuto dei Lavoratori era, ed è, straordinariamente forte ed attuale.

Siamo abituati, ed è naturale, a mettere sotto la lente d’ingrandimento i difetti, la rispondenza ad oggi dell’applicabilità formale e sostanziale delle norme. È giusto farlo, ma mai perdere di vista le fondamenta dell’impianto che si fonda, appunto, sulla pari dignità dei contraenti e la ricerca dell’equilibrio tra legittimi interessi diversi.

La visione riformista, in sostanza, ha scelto la strada dell’affidamento alla contrattazione, tutelandone i protagonisti più deboli, quale strumento più adattivo nel trasferire i principi generali relative alle tutele ed ai diritti, rispetto alle specificità delle varie realtà produttive e settoriali siano esse nazionali, i CCNL, sia aziendali. Ovviamente sta alla capacità delle Parti Sociali, profondamente responsabilizzate, articolare la loro funzione connettendola al mondo che cambia.

Qualsiasi intervento statalista, massivo, o invadente della libera contrattazione tra le parti, che trova protezione e tutela nello Statuto dei Lavoratori, è una tentazione che ha attraversato varie fasi della vita politica del Paese, anche di recente, non produrrebbe quei miglioramenti che necessiterebbero.

Certamente il mercato può e deve essere bilanciato da interventi cornice che definiscano i limiti invalicabili, e ciò vale anche per il lavoro, ma pensare di regolare fino al dettaglio le relazioni tra impresa e lavoratore, è o una illusione o un errore. Altro è garantire, in un quadro di indirizzi generali, nuovi strumenti su cui vede il dispiegarsi la contrattazione come è avvenuto in tema di: formazione continua, ammortizzatori sociali più estesi, efficaci e moderni, incentivi fiscali stimolanti, piani di aumento della produttività.

E soprattutto con un sistema di politiche attive vero ed efficiente che coniugato con la responsabilità delle parti, come nel caso del contratto di ricollocazione, può garantire adeguate difese ed opportunità alle persone più colpite da crisi aziendali o di settore.

Ma qua siamo all’attualità che si connette, però, in maniera chiara a quella infrastruttura delle tutele rappresentata, appunto, dallo Statuto dei lavoratori.


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