Essere europei mediterranei

Stevka Šmitran

Siamo profondamente europei e il tempo di Covid-19 ne ha rafforzato la consapevolezza, ma nello stesso tempo ci ha fatto riscoprire la nostra identità mediterranea. Sentirsi mediterranei e restare europei, è indubbiamente una identità di un inseparabile mondo di etnie che si confrontano.

Il Covid-19 ha messo tutti gli stati e le nazioni sullo stesso piano, fenomeno già iniziato nel periodo della globalizzazione, ma le perdite umane hanno accelerato la spasmodica ricerca delle nostre origini. In sostanza, le considerazioni che si fanno in tempi di bilanci, per salvare dall’oblio le idee guida riguardano, invece, la cultura e la civiltà, veri valori che ci caratterizzano.

Il Mediterraneo (dal latino Mediteraneus, in mezzo alle terre), con i suoi popoli improntati a sentimenti ed equivalenti forme mentali e le sue mitologie plurimillenarie, è riapparso.

E, con esso è riapparsa la simbologia della sua luce, con i colori che furono l’ispirazione per l’umanità intera e dove il sole non sorge e non tramonta mai.

Abbiamo puntato al passato, «ficcando li occhi verso l’oriente» per dirla con Dante.

L’ idea del Mediterraneo è rimasta quella di sempre, la civitas, l’insieme delle relazioni tra le persone, tuttora un modello di vita in cui il vero valore è la centralità dell’uomo.

Qui è lo spazio che esercita il potere sulle idee dell’uomo e ne potenzia lo slancio e il vigore. Il Mediterraneo sposta il baricentro dell’Europa sempre più al sud.

Attorno al Mediterraneo sono nate le grandi civiltà, qui ha avuto origine la nostra storia e si è forgiata la nostra cultura. È il luogo che ci ricorda che dopo la sconfitta di Nicia a Siracusa gli ateniesi prigionieri si guadagnavano la vita recitando i poemi omerici. Siamo quei popoli che non si meravigliano di vedere il mare tinto di rosso, né Poseidone guidare i suoi cavalli sul mare.

I poeti si riconoscono nel cantore Femio – nella cui scuola si è formato Omero -, e che ha definito l’ispirazione poetica valida in ogni tempo: «Dotto io son da me solo e non già l’arte, ma un Dio mi seminò canti infiniti nell’intelletto» (Odissea, XX 347-349).

Il Mediterraneo, forte della sua storia, rende universale la poesia dei suoi popoli.

È qui che i grandi poeti diventano quello che hanno voluto le loro parole. È qui che la parola è scarna e ossuta, chiede la libertà per poter rimanere dalla parte dell’umanità.

La poesia, più volte data per morente, come mi disse Mario Luzi in uno dei nostri ultimi incontri, ma quanto alla domanda sulle tre dimensioni temporali, era solito rispondere, quella dell’oggi: «Il presente è tutto, come dice Sant’Agostino, cioè nel presente si riassume tutto il tempo, è la sintesi di ciò che è accaduto e che accadrà».

La poesia del Mediterraneo, la sua parlata riprenderà la rincorsa? Riuscirà a mettere in fila le parole che si librano al presente e che rendono il poeta sempre contemporaneo? L’eloquio mediterraneo, al più lungo elenco dei temi mai scritto, aggiunge questo del nostro presente che amplia il passato e già è futuro.


Mario Luzi, Non so come

Nella nebbia di quella che tu fosti
dentro cieli improvvisi alta, friabile,
coronata di piogge, unta di lacrime,
risonante di echi, non so come…

Nel chiarore di quella che sei oggi,
o equanime, o discosta, non so come
le passioni desistono, precipita
il vento della mia vita in un turbine.

 

Ne Znam kako

U ovoj tmini čija si bila
u čarobnim nebesima visoka, krhka
okićena kišama, od suza mokra,
zvonkog odjeka, ne znam kako…

U sjaju ovom kakva si sada,
il nepristrasna, il nedokučiva, ne znam kako
strasti prestaju, nestaje
vihor moga života u jednom vrtlogu.


La traduzione della poesia di Mario Luzi in lingua Serbo-Croata è di Stevka Šmitran.

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