Lolita e Montalbano, l’oro della Rai

Giorgio Simonelli

Lunedì 7 marzo andrà in onda l’ultimo episodio della più fortunata serie della Rai, Montalbano. Ultimo in senso definitivo, non se ne realizzeranno più: una decisione sofferta di cui già si valutano i possibili effetti negativi sul piano artistico ed economico. Il caso ha voluto (ma è stato davvero un caso? o una oculatissima e fortunata scelta strategica?) che proprio nelle settimane precedenti il doloroso addio, sulla stessa rete in una collocazione non uguale ma simile del palinsesto (la prima serata domenicale e non quella del lunedì) sia arrivata una serie, Le indagini di Lolita Lobosco che con Montalbano ha molte affinità, interne al testo ed esterne.

Troppe per non indurci a un approfondimento del tema. La prima potrebbe sembrare proprio il successo di pubblico, un successo che nessuno, neppure il più ottimista esponente della produzione, avrebbe previsto a questi livelli.  Il 30% di share (un po’ sopra la prima puntata, un pizzico sotto la seconda che subiva la concorrenza di una partita di campionato tra squadre con folte tifoserie) è un risultato eccezionale.

Non raggiunge i dati montalbaniani che nei primi passaggi arrivano attorno al 40 (si tratta di un unicum più che di una eccellenza), ma supera ampiamente quello delle altre fiction, anche di successo. Insomma, un dato di cui tener conto ma che in realtà non si colloca tra le affinità con il prodotto di Camilleri, Zingaretti e Sironi, che (è bene ricordarlo) ebbe una vicenda dal punto di vista degli ascolti del tutto diversa. Partì in posizione defilata, collocato su Rai due come prodotto di nicchia, non certo garanzia di grandi ascolti e conquistò nel corso delle stagioni il suo enorme bacino di fedeli appassionati. Tutto l’opposto di Lolita, partita già con il botto e con le inevitabili reazioni della critica.

Le affinità, invece, sono presenti e interessanti da altri punti di vista, a cominciare da quelle esplicite. C’è l’attrice che interpreta Lolita che, nella vita, è la moglie del protagonista di Montalbano, in più Zingaretti e Luisa Ranieri sono con la loro società i produttori della serie. Inoltre, l’autrice dei romanzi da cui la serie è tratta, Gabriella Genisi, ha apertamente dichiarato di aver costruito il suo personaggio dopo aver letto Camilleri, come per colmare il vuoto femminile che le storie di Montalbano lasciano.

Ma è andando all’interno delle storie che emergono le affinità (e qualche diversificazione) più profonde. Prima di tutto i personaggi. Se Lolita è Montalbano, anche nel gruppo dei collaboratori non mancano possibili sovrapposizioni: anche Lolita ha il suo Fazio nel pignolo, saccente, verboso ma spesso risolutivo Antonio Forte, mentre Lello Esposito ha i caratteri un po’ meno calcati di Catarella: ingenuo, disponibile, lento nel leggere le situazioni ma con una vena artistica nascosta (la recitazione per Catarella, il canto per Esposito che nella prima puntata ci regala una sorprendente, irresistibile versione di Il cuore è uno zingaro).

Poi c’è Antonietta, l’amica dalla vita sentimentale molto vivace un po’ come quella del «fimminaro» Mimì Augello, mentre la figura del questore preoccupato delle indagini che vanno a toccare il potere è ormai un topos comune a tutta la narrativa poliziesca (ci deve fare i conti anche il commissario Ricciardi).

Analogie ci sono pure nella ricostruzione della famiglia d’origine in cui Lolita ha perso il padre come Montalbano la madre, anche se nella loro vita presente prevalgono le differenze: per Montalbano c’è soprattutto la distanza dal padre e un clima difficile, un po’ cupo nei rapporti, Lolita ha scontri aperti e qualche complicità con i suoi famigliari.

Infine, una particolare attenzione merita il paesaggio che è quello del cosiddetto giallo mediterraneo, il filone nato a partire dai romanzi di Manuel Vasquez Montalban, in cui ai toni grigi e alle atmosfere cupe del poliziesco anglosassone si sostituiscono i colori vivaci e i luoghi inondati di sole del sud dell’Europa.

Su questa linea è noto che il Montalbano televisivo ha prodotto un fenomeno unico nella storia trasformando un territorio marginale e sconosciuto in un punto di attrazione turistica noto in tutta Europa, Luca Miniero, che in generale si è allontanato dallo stile registico limpido e pacato di Sironi optando per un montaggio più nervoso e inquadrature irregolari, non poteva ripetere il miracolo. A differenza di Vigata quelle di Bari e della Puglia sono immagini affascinanti ma non possono essere una scoperta, da anni sono oggetto di consumo sia nella realtà del turismo sia nella finzione cinematografica. La nuova serie non poteva che ribadire questa dimensione, esaltarne qualche aspetto particolare.

In conclusione, la vera affinità tra le due serie consiste nella loro capacità di inserire in maniera equilibrata l’intrigo poliziesco in un paesaggio naturale e umano così ricco e gradevole.

Lolita, come già Montalbano, oltre alla detection story propone una commedia di caratteri e di costume che, insieme a qualche cliché eccessivamente prevedibile, offre figure di spessore drammatico, battute divertenti e acute notazioni su una società come quella del mezzogiorno italiano, in cui la convivenza fra tradizione e modernità genera esilaranti paradossi (formidabile quello della madre di Lolita che, in difficoltà economiche trasforma la sua vecchia casa in un abusivo b&b con corsi di cucina per gli ospiti giapponesi).

Ultime notazioni, a margine. Insignificante la polemica sulla inadeguatezza della parlata pugliese degli attori, sollevata da istituzioni e cittadini locali. Nella mia ormai lunga esperienza, non ho mai visto una comunità, una categoria, una popolazione dichiararsi soddisfatta dell’immagine che ne dà la sua rappresentazione in un’opera di finzione.

Piuttosto, qualche perplessità lascia la scelta di accorpare in una stessa puntata due storie diverse, tratte da due libri diversi della Genisi. La cosa avveniva anche con Montalbano quando si univano tra loro due racconti troppo brevi per dar vita a un intero episodio tv. Ma qui si rischia di compromettere il pathos del racconto, come nel caso della più recente puntata, in cui la seconda vicenda, quella riguardante un crimine legato alla speculazione edilizia, interessante per il suo contenuto sociale, viene risolta sbrigativamente e un po’ troppo facilmente, finendo per annacquare l’intensa emozione procurata dal precedente dramma  passionale. Insomma, come diceva un signore che di storie se ne intendeva, «di libri ne basta uno alla volta». E la regola, forse, vale anche per le trasposizioni televisive.

Leggi anche