Memorie del presente

Oscar Buonamano

I giorni, i mesi, che sono dietro di noi sono trascorsi velocemente per alcuni, lentamente per altri. Punti di vista. A me è sembrato un tempo lunghissimo, soprattutto un tempo senza tempo. È prevalso il silenzio. Un silenzio come mai prima avevamo udito.

Molti hanno scritto del vuoto. Di strade vuote, negozi vuoti, stadi vuoti, chiese vuote, ristoranti vuoti, ed è indubbio che nella maggior parte dei casi è stato così. Non lo è stato per le città. Le città non sono mai state così piene, piene di gente che non si vedeva ma che c’era. Le macchine per abitare, le nostre case, hanno funzionato a pieno regime come mai era successo e come difficilmente potrà succedere in futuro.

Tutti in casa e tutti insieme, una prova di resistenza e affidabilità per ognuno di noi. La nostra vita in questi due mesi è stata come un foglio bianco sul quale scrivere una storia nuova. Una storia che prima non c’era e non era nemmeno immaginabile. La convivenza forzata con il proprio nucleo familiare, la convivenza forzata con sé stessi per chi viveva solo.

Noi uomini siamo animali sociali, ce lo hanno spiegato in tanti, Aristotele, Darwin, lo stesso Einstein, e la pandemia ci ha costretti a vivere non assecondando la nostra natura. In qualche misura, la natura (intesa qui in senso lato), ci ha restituito la mancanza di rispetto e sensibilità che abbiamo nei suoi confronti.

Sono bastati due mesi, il tempo trascorso senza che l’uomo esercitasse la sua influenza sul corso delle cose, perché le acque dei fiumi e dei mari tornassero limpide. Perché gli animali si riappropriassero di porzioni di territorio occupate dall’avanzare delle attività umane. Perfino la «cosa umana per eccellenza», la città come l’ha magistralmente definita Claude Lévi-Strauss, ha lasciato il passo alla natura naturale.

«Non è in senso metaforico che si ha il diritto di confrontare una città a una sinfonia o a un poema; sono infatti oggetti della stessa natura. Più preziosa ancora, forse, la città si pone alla confluenza della natura con l’artificio […] la città, per la sua genesi e per la sua forma, risulta contemporaneamente dalla processione biologica, dalla evoluzione organica e dalla creazione estetica. Essa è, nello stesso tempo, oggetto di natura e soggetto di cultura; individuo e gruppo; vissuta e sognata; cosa umana per eccellenza».

Abbiamo ampiamente oltrepassato quel confine, il limite tra natura e artificio, e oggi tutto è artificio. Di conseguenza tutto è finto e non più in grado, forse non lo è stato mai, di assecondare il tempo e il ritmo della natura. Non un elogio incondizionato alla natura che non è né buona né cattiva, né giusta né ingiusta, ma la constatazione che la natura semplicemente è. Noi stessi siamo natura, a volte basta cambiare il punto di osservazione per guardare e vedere tutto sotto un’altra luce, per guardare e vedere tutto in modo altro e diverso.

A partire anche da queste ragioni ha preso forma il progetto Memorie del presente della Fondazione Giuseppe Di Vagno: raccogliere testimonianze di questo tempo. Un tempo che si spera non torni più, ma che ha condizionato il nostro presente e condizionerà il nostro futuro. Raccogliere testimonianze di ciò che accaduto, dei nostri comportamenti, per documentarle e renderle patrimonio della Community Library, I granai del Sapere. Classificarle, metterle in ordine e lasciarle a disposizione per le generazioni future. Foto, filmati, testimonianze, racconti. Storie, iniziative, piccoli problemi quotidiani, singoli pezzi di un grande puzzle che composti restituiscono un’immagine di ciò che abbiamo attraversato.

Chiunque può contribuire alla costruzione di questo grande archivio del presente, basta cliccare qui http://tiny.cc/jm6doz per inviare i vostri materiali. Memorie del presente farà parte dell’archivio storico della Fondazione Di Vagno e sarà consultabile direttamente presso i locali della fondazione a Conversano, nel Monastero di San Benedetto, sia online sia sul sito della fondazione stessa. Nella prossima edizione del festival Lector in fabula, si realizzerà una mostra con una selezione dei materiali più significativi.

La foto che accompagna questo testo è di Rocco De Benedictis ed è uno dei primi materiali che ci sono giunti proprio per questo progetto.

De Benedictis ha ritratto la città di Conversano attraverso la vetrina di un negozio, un artificio che si frappone tra noi e la realtà. Al di là dello schermo c’è la città con la rappresentazione massima del suo potere, il Municipio, al di qua ci siamo noi. Riusciamo a vedere il vuoto che ci ha accompagnato in questi mesi, un vuoto riempito da un uomo che a testa bassa attraversa lo schermo attraverso il quale guardiamo la realtà. Tutto è fermo, immobile. C’è poca vita, manca il colore.

Ci sono le parole scritte sul diaframma che separa e unisce, artificio e natura. Parole che potrebbero essere i pensieri del signore anziano che attraversa la piazza. Un’immagine che mi ha ricordato una scena del film Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders girata nella metropolitana della capitale tedesca, in cui il regista tedesco inquadra le facce delle persone sedute, una di fianco all’altra, e contemporaneamente ha immaginato e fatto scorrere i pensieri di ognuno di loro. Il fascino e potere dell’immaginazione.

Potrebbero però essere anche le parole per descrivere un modo diverso di stare insieme, collettivamente. Un foglio bianco sul quale scrivere una storia nuova. La storia di domani.

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