Montalbano non più finzione ma realtà

Giorgio Simonelli

Ancora una volta Montalbano ha fatto il botto. Il metodo Catalanotti dovrebbe essere l’ultimo episodio della lunga serie iniziata alla fine del secolo scorso. Usiamo il condizionale perché da varie parti e per molte ragioni si fanno sentire richieste di tornare sulla decisione definitiva.

Tuttavia, la scomparsa dell’autore seguita da quella del regista Sironi, a cui Zingaretti, subentrato nella funzione, riconosce ancora un’importante partecipazione nelle regie, non lascia molti margini di speranza. In questa situazione di incertezza e di una certa malinconia, l’episodio non ha raggiunto le percentuali di share clamorose che avevano segnato le ultime apparizioni, l’incredibile 43%, assestandosi a un pur sempre ragguardevole 38%.

Il botto di cui si diceva all’inizio si è sentito su un altro versante, quello del dibattito critico.

Fiumi di inchiostro, come si diceva un tempo, sono scorsi per opera di firme di importanti testate, tutte femminili (le firme), per spiegare quanto la svolta sentimentale di Salvo, il tradimento, forse l’abbandono di Livia per una giovane collega, sia stato sorprendente, scioccante, inopportuno.

Si è parlato in un titolo su La Stampa di «salti sul divano» da parte dei telespettatori, di tradimento non solo di Livia ma di tutta la folta e compatta comunità dei fans. Di tutto quello che potrebbe essere l’ultimo episodio della più importante serie televisiva italiana, l’unica cosa rimasta è il nuovo amore di Salvo. Il resto, il «metodo Catalanotti» che dà il titolo al racconto, la riflessione sul rapporto tra la vita e la sua rappresentazione, quella sorta di rovesciamento del metodo Stanislavskij che Camilleri propone, è diventato marginale, un corollario nella storia rosa.

Ora credo sia il caso di fare un po’ di ordine sulla delicata questione, di analizzare le ragioni e gli sbandamenti di una simile lettura. Prima di tutto è il caso di porre una questione diciamo filologica, di rispetto del testo. Chi ha seguito con attenzione tutte le vicende di Montalbano ricorda che questo non è affatto il primo tradimento amoroso del commissario. Per la precisione, Salvo ha già avuto rapporti di sesso per così dire extraconiugale, anche piuttosto espliciti, altre cinque volte.

Si potrebbero approfondire le diverse modalità, le motivazioni degli altri tradimenti rispetto all’ultimo, sottolineando la differenza tra l’occasionalità dei precedenti incontri, classiche avventure, e l’intensità di quello con la giovane dottoressa, che si presenta fin dall’inizio come un colpo di fulmine, tra l’altro molto ben messo in scena dai registi e molto ben recitato dai protagonisti. In più c’è il finale aperto ma non troppo che lascia intendere la concreta possibilità per Montalbano di una nuova convivenza, una storia non più a distanza, cosa assolutamente esclusa nelle precedenti avventure e questa volta invece probabile. Insomma, c’è un nodo da sciogliere, ipotesi e dubbi così gravi che solo il proseguimento della serie potrebbero risolvere.

Ma, se questa linea sembrerebbe più interessante per gli approfondimenti e gli interrogativi della stampa rosa (penso a titoli come «Montalbano lascerà davvero Livia?» «Tra Salvo e Antonia funzionerà?»), c’è un altro aspetto della questione che vale la pena di considerare.

È quello strano fenomeno per cui proprio nella critica più colta, nelle riflessioni socioculturali delle terze pagine si è discusso del tradimento di Montalbano in una maniera un po’ singolare. Si è parlato dell’inattesa, sconvolgente scelta di Salvo non considerandola come una rappresentazione ma come un fatto. Come avveniva in certi cineforum degli anni Cinquanta, si è discusso non delle scelte di Camilleri o di Zingaretti regista, ma di quella di Montalbano, giudicando le azioni, i comportamenti del protagonista: «non si fa così…».

Si potrebbe dire, scherzando ma non troppo, che se questi giudici si fossero trovati al posto di quelli che hanno processato Flaubert per l’immoralità del suo romanzo, non avrebbero giudicato lo scrittore (il suo editore e persino i tipografi) ma direttamente madame Bovary. Il fatto che la storia di Il metodo Catalanotti fosse stata scritta ben tre anni fa senza suscitare reazioni clamorose non ha suggerito nulla ai delusi e ai fustigatori del commissario. Quello che li ha colpiti profondamente non è una storia raccontata da qualcuno e avvenuta in un certo tempo a Vigata, ma una vicenda svoltasi lunedì scorso sotto i loro occhi.

Se non conoscessimo lo spazio alto in cui questo tipo di analisi è stata condotta e il ruolo intellettuale degli analisti, potremmo liquidare il tutto come il risultato di una clamorosa ingenuità critica, di una banale confusione. Invece, sappiamo che non è così, che il singolare fenomeno a cui abbiamo assistito è altra cosa, che il fatto è un altro. Il fatto è che da tempo Montalbano non è più un personaggio di finzione, un protagonista di vicende rappresentate, narrate con parole o immagini scelte da un autore, ma, come suggerisce anche il Riccardino postumo di Camilleri, una presenza vera dentro le nostre vite, un uomo «che vive (e tradisce) insieme a noi». Forse di questo Zingaretti e la Rai dovrebbero tenere conto nelle loro prossime decisioni.

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