Berlusconi e la parabola televisiva (nello sport)

Giorgio Simonelli

Una volta un noto telecronista delle partite di calcio, molto bravo, mi raccontò una storiella molto significativa. Non faccio il nome del telecronista, così chi vuole può giocare con gli amici a individuarlo. Era andato a fare per Mediaset la telecronaca di una di quelle partite di precampionato che il Milan giocava contro una squadra di serie minore. In apertura il bravo telecronista, annunciando le formazioni, sottolineò il fatto che il Milan scendesse in campo molto rimaneggiato, con parecchie riserve al posto di quelli che costituivano la formazione titolare. Il giorno seguente Berlusconi lo chiamò e lo rimproverò: con quella premessa aveva reso meno appetibile il prodotto televisivo: «Poteva aggiungere altre nomi di riserve – gli disse – così la partita non l’avrebbe guardata nessuno».

Ecco, in questo piccolo aneddoto c’è l‘idea che Silvio Berlusconi aveva dello sport e che ha sviluppato in particolare nella rappresentazione del calcio nelle sue tv. L’idea era quella del grande spettacolo su cui far convergere masse di telespettatori e da vendere a caro prezzo agli inserzionisti pubblicitari che riempivano con i loro spot i tempi morti della gara.

Il Milan stellare che doveva non solo vincere ma entusiasmare per il suo gioco brillante faceva parte del progetto. Il fine di tutto era, come diceva quel poeta, la meraviglia, la bellezza dell’evento. Al posto dell’atteggiamento sostanzialmente referenziale della vecchia tv che si poneva di fronte all’avvenimento come testimone, per cui se una partita è noiosa il racconto ne riproduce la noia, la neotv imponeva una scelta opposta in cui la tv mette in gioco tutti gli artifici possibili per rendere lo spettacolo gradevole.

Non era solo Berlusconi in questo ampio piano di rimodellizzazione dello sport. Vi collaboravano le istituzioni sportive che modificavano le regole del tennis, del volley, accettavano di buon grado orari e tempi delle gare idonei al consumo televisivo, introducevano nel calcio soluzioni che cancellavano le tradizioni del passato: i rigori al temine della partita finita in parità, il terribile golden gol che interrompeva i supplementari poi fortunatamente abolito. Il tutto in funzione dello spettacolo non in sé ma nella sua dimensione televisiva. La tv poi provvedeva alla spettacolarizzazione all’interno dell’evento, con la moltiplicazione delle telecamere e dei punti di vista, con i replay che annullano i tempi morti e un ritmo del racconto sempre vivace che nasconde quello talvolta blando della gara.

Per realizzare l’ambizioso progetto Berlusconi ricorse a interventi clamorosi cercando di strappare i diritti di trasmissione degli eventi sportivi ai tradizionali detentori, come nel celebre caso del mundialito del 1980, ma anche in quello meno ricordato ma assai significativo di ben quattro edizioni del Giro d’Italia. Quando trovò ostacoli insormontabili per l’acquisizione si inventò nuovi eventi su misura per le sue reti: il mundialito per club, il trofeo Luigi Berlusconi.

L’idea di contaminazione dei generi spettacolari tipica della tv commerciale si affermò anche nell’ambito dell’informazione sportiva toccando il punto di maggiore originalità e successo quando affidò la conduzione della rubrica sportiva settimanale più importante a una figura dell’intrattenimento come Raimondo Vianello invece che a un giornalista. Per più di un decennio questa modello rappresentò nei suoi successi ma anche nei suoi eccessi, la linea vincente di modernizzazione dello sport televisivo. Quando nel 2005 Mediaset acquisì i diritti degli highlights delle partite di campionato e confezionò il suo 90° Minuto affidandone la conduzione a Paolo Bonolis, pensando di replicare il successo ottenuto con Vianello, andò incontro a uno del flop più clamorosi della sua storia. Le cause dell’insuccesso, si disse, erano molte.

In realtà ormai era cambiato tutto: lo sport era diventato il terreno privilegiato delle pay tv. I grandi avvenimenti, il campionato di calcio, le coppe europee, la formula 1, il motomondiale, i grandi tornei di tennis, il commento a ridosso delle gare erano oggetto di un nuovo contratto comunicativo. Non più uno spettacolo gratuito pagato dagli spot pubblicitari inseriti nella diretta, ma un prodotto pagato preventivamente dagli abbonati al canale. Nel modello generalista basato sulla pubblicità potevano rientrare casi eccezionali come i due ultimi mondiali di calcio, sport legati a una forte tradizione come il ciclismo, manifestazioni di secondo piano come la Coppa Italia, eventi trasmessi in chiaro per obblighi di legge. Ma la presenza quotidiana, massiccia e più ricercata dello sport era diventato il cuore e il punto di riferimento delle nuove forme di consumo televisivo scelto e pagato direttamente dal consumatore. Il progetto di Berlusconi aveva ormai concluso la sua parabola.

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