Casablanca e la Marsigliese

Cesare Preti

Spesso le guerre durano molto di più dei conflitti armati. Molti momenti di esse, ed alcune loro immagini, hanno la facoltà di ritagliarsi un posto assai duraturo nella memoria collettiva, atto a scavalcare i decenni e a trasmettersi alle generazioni più giovani. A ciò non fanno eccezione i grandi conflitti del XX secolo, il secolo del cinema e dell’immagine in movimento, documentato dalla macchina da presa come mai era avvenuto nella storia. Capace di creare un immaginario tenacissimo, in cui frammenti di realtà e frammenti di finzione che reinterpreta quella realtà tendono ad assumere un valore semantico unitario, pregiudiziale per la lettura delle circostanze stesse.

Così, alcuni film molto famosi, o perlomeno un certo numero di loro sequenze, sanno orientare la nostra percezione di quel magma di eventi, significati e figure che sono stati quei conflitti. Non sono moltissimi, ma tra di essi vi sono opere che hanno saputo andare oltre il loro tempo mantenendo intatta la capacità di comunicare.

Questo accade con una delle pellicole più celebri della storia del cinema, Casablanca di Michael Curtiz, film che fu distribuito nelle sale americane nel novembre del 1942 ed uscì sugli schermi italiani quattro anni dopo, nel novembre del 1946. Molte delle sue immagini e parole si sono trasformate, con il passar dei decenni, da ciò per cui erano nate, strumenti di una propaganda ben fatta, in icone delle maggiori questioni in gioco durante il secondo conflitto mondiale. Memorabile ad esempio è diventata una battuta: il «suonala ancora una volta, Sam» che la protagonista femminile del film, interpretata da Ingrid Bergman, pronuncia chiedendo al pianista di colore del Rick’s Café Américain, interpretato da Dooley Wilson, di suonare As Time Goes By, la canzone del suo amore passato con Rick Blain, il proprietario del Rick’s, Humphrey Bogart.

Frase che da quintessenza del romanticismo d’antan è diventata un memento delle ragioni per cui gli spiriti democratici si opposero al nazi-fascismo. Nel passato di Rick e di IIsa Lund, la Bergman, infatti, oltre alla storia d’amore (per altro, vissuta nei giorni a cavallo dell’occupazione nazista di Parigi, dove si trovavano in quanto fuoriusciti politici), c’è quell’urgenza politica, quell’ansia di libertà e giustizia, che ha spinto Rick ad improvvisarsi contrabbandiere d’armi in favore degli etiopi durante l’invasione dello Stato africano voluta dal fascismo italiano nel 1935, ed a combattere nelle fila repubblicane durante la guerra civile spagnola del 1936-39.

Ma tra tutte, la sequenza forse più famosa del film è quella che ha al centro la scena del canto della Marsigliese. È quando, lì nel Rick’s, per zittire agli ufficiali tedeschi che intonavano il loro inno nazista, Victor Laszlo, uno degli uomini della Resistenza (Paul Henreid), comincia a cantare l’inno nazionale francese. Di colpo tutti i clienti del locale si alzano ed intonano, in un coro che è la voce delle genti europee oppresse, il canto delle Liberté, Égalité, Fraternité. La scena dà i brividi ancora oggi, il pathos che trasmette è molto intenso. Non poteva non lasciare il segno.

Ed infatti così è stato, tanto che generazioni di critici e appassionati si sono esercitati nello studiarla in ogni singola inquadratura, a cercarne tutte le possibili fonti di ispirazione. Vi è chi ha proposto come modello per il personaggio di Rick Blaine, motore ultimo anche di quella scena, un famoso impresario teatrale e proprietario di night club della New York degli anni Trenta e Quaranta, Billy Rose, nella cui biografia vi sarebbero molti punti di contatto con quella, immaginaria, del personaggio interpretato da Bogart. Per Victor Laszlo, invece, vi è quanto afferma nelle sue Memorie Randolfo Pacciardi, il controverso leader politico repubblicano che partecipò alla guerra di Spagna nelle fila antifranchiste. Avrebbe conosciuto in America, dove poi si rifugiò, uno degli sceneggiatori del film, che avrebbe modellato la figura di Laszlo su ciò che lui aveva vissuto. E non tanti anni fa, agosto 2014, l’allora direttore del Corriere del Mezzogiorno di Napoli, Marco Demarco, segnalò le circostanze che potrebbero spingere a ricercare la fonte d’ispirazione della sequenza in un episodio, accaduto in una birreria di Napoli nel maggio del 1938. Episodio di cui furono protagonisti Renato Cacioppoli, il matematico nipote di Mikhail Bakunin, ispiratore di un bel film del 1992 di Mario Martone, Morte di un matematico napoletano, nonché noto militante comunista, e la sua giovane moglie, Sara Mancuso.

Ma vi è un altro episodio, poco noto e che nessuno ha mai collegato al film, che ebbe come palcoscenico la Scuola Normale Superiore di Pisa, di cui ci ha lasciato memoria Guido Calogero in un articolo che fu pubblicato a Bari, sul Nuovo Risorgimento di Vittore Fiore nel numero dell’aprile/maggio 1945. Articolo da allora mai più ristampato, che in un passaggio racconta una storia che presenta sorprendenti analogie con la sequenza della Marsigliese di Casablanca. Nel giugno del 1940, la guerra in Europa sembrava poter assicurare la vittoria alle armate hitleriane: la Francia stava per cadere, e l’Inghilterra viveva uno dei momenti più bui di tutto il conflitto. A Pisa, presso la Normale, un giovane pugliese, il brindisino Giuseppe Patrono, da un paio d’anni circa frequentava i corsi della classe di Lettere e, con altri giovani normalisti suoi amici (Alessandro Natta, Armando Saitta, Mario Spinella, tra gli altri), si era legato ad un professore di filosofia, Guido Calogero, di fede antifascista, il quale con Norberto Bobbio, Aldo Capitini, Cesare Luporini, Renato Guttuso e Umberto Morra, in quegli anni portava avanti una elaborazione ideologico-intellettuale che sfociò nella creazione del movimento liberalsocialista, una delle anime del futuro azionismo.

Le discussioni sulla attualità politica tra il professore ed il gruppo dei suoi giovani allievi fecero imboccare a Patrono quella strada che circa tre anni dopo lo porterà a combattere con la Resistenza a Roma, nei mesi dell’occupazione nazista della città, dopo l’otto settembre. In quel giorno di giugno 1940, dunque, Patrono ed i suoi amici erano (così racconta Calogero) nella mensa della Scuola. Arrivò qualcuno che, trafelato, annunciò la caduta di Parigi e l’ingresso in città delle armate naziste. Tripudio e soddisfazione molto rumorosi da parte di un giovane studente tedesco lì presente, che tutti sapevano essere una spia con il compito di informare chi di dovere intorno a quello che accadeva nella Scuola. In risposta a ciò, ed in omaggio a quel mondo di valori politici che rappresentava la capitale francese, Patrono ed i suoi amici, senza esitare, si alzarono ed intonarono a piena voce la Marsigliese, provocando rabbia evidente nel nazista.

Non c’è molto da dire: sembra un film, ed infatti le analogie con la scena di Casablanca sono sorprendenti. Anche se certamente non bastano per asserire l’esistenza di un legame diretto tra ciò che accadde a Pisa e ciò che fu scritto ad Hollywood (prima a New York). È chiaro. Perché è vero che come testimoniano le memorie di Teresa Noce, la Rivoluzionaria professionale del Partito Comunista Italiano, l’inno francese in quegli anni difficili si era trasfigurato in un canto di libertà e rivoluzione, adottato da tutto l’antifascismo europeo. Ed anche perché è vero che un certo numero di analogie non fanno una prova. Però, però…

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