L’Oppenheimer di Nolan, un capolavoro

Giorgio Simonelli

Per sapere quale tra le varie letture (troppe?) che Nolan propone nelle tre ore (troppe?) di cinema sulla figura e la vita di Oppenheimer, sia la più importante occorre aspettare fino alla fine del film, o quasi.

Il suggerimento è affidato a Kitty, la moglie del grande scienziato, uno dei personaggi più interessanti del film molto ben interpretato da Emily Blunt. Oppie sta accettando con incredibile fair play e rassegnazione le accuse ingiustificate e le falsità che anche alcuni vecchi amici e collaboratori, come Edward Teller, vero e proprio traditore, riportano alla commissione che deve decidere sul suo nullaosta di sicurezza. Ma Kitty, che non condivide affatto questo atteggiamento, tanto che alla fine rifiuterà platealmente di stringere la mano a Teller, gli (e ci) spiega il problema: pensi di espiare le tue colpe accettando tutto il fango di cui ti ricoprono?

Dunque, se come ci ha già suggerito l’esergo che apre il film, l’Oppenheimer di Nolan è un Prometeo che ha rubato il fuoco agli Dei per consegnarlo imprudentemente agli uomini (e infatti il rischio che egli stesso teme è che la sua invenzione incendi l’atmosfera), per lui non c’è uno Zeus che si accanisca con la più tremenda delle punizioni. La punizione Oppenheimer la subisce accettando quasi con masochistico piacere le accuse dei suoi avversari pur sapendo che sono ingiuste, dettate dall’invidia e dalle rivalità personali. Forse così pensa di espiare anche la colpa di scherzare sempre col fuoco (e non è solo un modo dire), mettendo il prossimo in gravi pericoli, come quando in gioventù da studente a Cambridge iniettò del cianuro in una mela destinata all’antipatico professor Blanckett, salvo poi strapparla in extremis dalle mani di Bohr che sarà un suo mentore.

E così questo film che, visto il tema, si poteva aspettare o temere a seconda dei gusti (personalmente appartengo alla seconda schiera), come pieno di scoppi, di lampi, di effetti speciali, concentra quasi tutto in un conflitto interiore o in uno scontro verbale di piani ravvicinati in un interno. Anche gli effetti speciali che simboleggiano lo scoppio della bomba, usati con parsimonia e gli effetti sonori (un po’ invadenti) sono elementi interni alla mente del protagonista, come il frastuono del battito di piedi che lo ha accolto in aula nel momento del trionfo e che ritorna ossessivamente in momenti meno felici. Fanno eccezione a questa interiorizzazione della storia solo le parti sulla costruzione di Los Alamos e sull’esperimento del luglio ’45 dove serpeggia un po’ di suspense. Per il resto e per fortuna, Nolan invece di stimolare la tanto celebrata adrenalina, richiede allo spettatore uno sforzo cognitivo continuo.

Prima di tutto si tratta di ordinare i molteplici piani temporali distribuiti nell’arco di trent’anni e aggrovigliati in un montaggio che non segue affatto una linearità cronologica ma procede per attrazioni. Poi c’è il tema del dibattito scientifico messo ripetutamente in scena nel racconto, il bisogno di coglierne i termini, almeno per sommi capi, visto che, come ha scritto un critico, per capire qualcosa sulla fisica quantistica non basta un semestre universitario, figuriamoci mezz’ora al cinema. Infine, c’è il tema politico ed è assai scottante. Infatti, tutto il procedimento disciplinare a carico di Oppneheimer, che alla fine lo priva del nullaosta, ruota attorno a una parola: comunista.

E allora per lo spettatore entrano in gioco alcune competenze storiche sul clima diffuso negli Stati Uniti d’America nell’immediato dopoguerra, sull’isteria anticomunista che costrinse molti all’espatrio, altri all’esclusione dal lavoro, altri ancora a una sorte ben peggiore. E si rendono necessarie quelle sottigliezze culturali di cui è capace Kitty quando spiega al presidente della commissione che sta giudicando Oppie con la sua rozzezza e il suo pregiudizio, un problema: un conto è essere affascinato dalle teorie marxiste (e da certe donne che le professano come accadde a Oppenheimer), altra cosa è identificare i propri ideali con l’Unione Sovietica, altra ancora passare ai sovietici segreti militari. Sottigliezze che il film di Nolan tratta con le giuste sfumature, anche cromatiche nell’alternanza di colore e bianco e nero, e senza rinunciare a una problematicità non priva di misteri. E questo rappresenta un bel salto di qualità in un momento in cui si parla a vanvera di egemonia culturale e c’è chi risolve il tutto con il coro un po’ fesso «chi non salta comunista è».

Al di là di tutto questo, al di là dell’importante rilettura storica del caso Oppenheimer, c’è un margine di attualizzazione della figura e della sua drammatica vicenda. Il senso di colpa che perseguita lo scienziato, i suoi dubbi su una bomba ancora più potente all’idrogeno, soprattutto la sua opposizione a una corsa agli armamenti voluta da Harry S. Truman (che non fa una gran bella figura nel film), potrebbero legare il lavoro di Nolan a certe ansie molto contemporanee e farlo rientrare nella linea di pensiero pacifista con il valore positivo o negativo che oggi si attribuisce al termine.

Ma questo è il classico tema da lasciare al dibattito che segue la visione del film, se ancora se ne organizzano…

Leggi anche