Trachi il centauro e Buck dei lupi

Giusi Baldissone

Nel racconto di Primo Levi Quaestio de Centauris, (Storie naturali), parodia seria il cui titolo è parafrasato su antichi trattati (ma il più probabile modello è la Questio de aqua et terra attribuita a Dante) appare la figura di Trachi.

Il racconto autobiografico narra l’adolescenza felice dello scrittore col centauro donato da un amico al padre, le corse al galoppo nei boschi e le chiacchierate anche sulle leggende genealogiche degli uomini e dei centauri. Si incrociano qui tutte le mitologie, compresa quella biblica: «Fu un tempo mai più ripetuto, di fecondità delirante, furibonda, in cui l’universo intero sentì amore, tanto che per poco non ritornò in caos». Nella Quaestio questo meccanismo è esplicitato fin dall’incipit: «Quanto andrò esponendo è il frutto di quei nostri lunghi colloqui».

L’unione uomo-cavalla (il figlio scostumato di Cam con una cavalla di Tessaglia), dice l’io narrante, portò alla nascita di questi esseri potenti e longevi, savi e valorosi, e se oggi la scienza (ancora imbevuta di aristotelismo) afferma che non vi siano unioni feconde fra specie diverse lo fa solo perché non sono state tentate prove sufficienti: «Poiché non ho ragione di dubitare su quanto di se stesso Trachi mi narrò, devo dunque invitare gli increduli a considerare che vi sono più cose in cielo ed in terra di quante la nostra filosofia ne abbia sognate».

La storia termina tristemente, e il narratore afferma che gli pesa scriverla, perché appartiene alla sua giovinezza e gli pare di espellerla da se stesso, restando privo di qualcosa di forte e puro. Una fanciulla, figlia di amici di famiglia tornata in campagna, fa innamorare nello stesso tempo il protagonista e il centauro, il quale però avverte a un certo punto che i due umani si amano, e fugge riacquistando volontariamente la sua natura ferina, separandosi per sempre da quella umana. Gli uomini di un peschereccio al largo di Corfù segnaleranno più tardi di aver visto un uomo a cavallo di un delfino, vigorosamente in nuoto verso levante.

Qualcosa di simile avviene anche per un altro mito letterario di Levi, il cane Buck del Richiamo della foresta di Jack London, che dopo aver preso la sua decisione di tornare nel branco riappare come un fantasma, alla maniera del centauro: il popolo Yeehat racconta di un Cane Fantasma che corre alla testa del branco. Ne ha paura perché è più astuto degli uomini e saccheggia i loro accampamenti negli inverni duri, svuota le loro trappole, ammazza i loro cani e sfida i loro cacciatori più coraggiosi. Ogni autunno, quando gli Yeehat seguono gli spostamenti degli alci, vi è una certa valle in cui non penetrano mai. D’estate, però, vi è un visitatore, ma gli Yeehat non lo sanno. È un grande lupo dal manto stupendo, simile agli altri lupi eppure diverso: giunge solo dalla ridente terra dei boschi e scende in una radura fra gli alberi. Qui il lupo si sofferma per un po’ assorto, intona un solo, lungo e angosciato ululato e poi riparte. Ma non sempre è solo. Quando vengono le lunghe notti invernali e i lupi inseguono la loro preda nelle valli più basse, lo si può vedere correre alla testa del branco nella luce pallida della luna o nel fioco chiarore dell’aurora boreale, balzando gigantesco innanzi ai compagni, la grande gola tonante nel canto del branco.

L’impressione che danno i titoli/nomi delle Storie naturali è quella della parodia di un’altra natura che poteva essere e invece non fu, di un’altra storia, di un’altra scienza, la chimica in particolare. Levi sembra procedere su due piani, anche cronologicamente non molto lontani: da una parte, il nome degli elementi realmente scoperti in natura rivela legami sottili, chimici ma anche antropologici, linguistici, mitici, insomma, con personaggi e nature umane” ben calate nella storia e nella realtà. È il filo conduttore onomastico e antropologico del Sistema periodico. Dall’altra parte, nel rovescio di quella prospettiva, si trovano potenzialità e creature, elementi che nelle storie fantastiche dell’umanità sono sempre apparsi credibili, possibili, probabili ma non veri: è ciò che la fantasia di Dio (o di un dio) avrebbe potuto creare se lo avesse voluto, proprio come affermano Rabelais, Plinio e Shakespeare. Si noti che anche in una prospettiva nouvelle histoire è reale e appartiene alla storia non solo tutto ciò che è razionale credere vero, ma tutto ciò che fa parte della civiltà degli uomini, materiale o immaginaria che sia.

I nomi che Levi (con lo pseudonimo di Damiano Malabaila, che scelse per volere dell’editore) attribuisce nelle Storie naturali alle sue creature o ai suoi animali inesistenti, proprio perché evocano in parodia le reali nomenclature scientifiche, si pongono su quello stesso terreno in cui gli elementi chimici veri sono chiamati, nominati e interrogati sulle loro funzioni. Levi alterna due dimensioni: da una parte, nel Sistema periodico, il nome degli elementi scoperti in natura rivela legami chimici ma anche culturali con personaggi e nature umane calate nella storia. Dall’altra, nelle Storie naturali, si trovano creature che nei miti dell’umanità sono sempre apparse possibili. Anche se non realizzate. Che siano libri gemelli lo dimostra anche il fatto che l’autore più avanti, nel 1979, firmò con il suo nome, Primo Levi, anche le Storie naturali, e di Damiano Malabaila oggi nessuno si ricorda più.

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