Il calcio, non più contemporaneo al nostro tempo

Eric Jozef

di Eric Jozef e Gigi Riva

Da 25 anni, il calcio europeo fa finta di nulla. Fa finta che lo sport sia fuori dalla realtà e dall’evoluzione delle società. Fa finta che le nuove tecnologie, il moltiplicarsi dei canali televisivi, i trasporti rapidi e low cost per i tifosi non abbiano radicalmente ridisegnato lo spazio e la dimensione del calcio. Fa finta di ignorare soprattutto che gli interessi delle grandi squadre siano una minaccia pesante per il primato delle regole sportive ormai vassalle di quelle finanziarie. Eppure 25 anni fa, si produsse una rivoluzione che avrebbe dovuto portare ad un profondo ripensamento del calcio per adeguarlo ai tempi nuovi.

Fu infatti nel 1995 che la Corte di giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo affermò il principio della libertà di circolazione e di trasferimento per i calciatori membri dell’Ue al pari di qualsiasi altro lavoratore. La famosa sentenza Bosman. Nel riaffermare questo principio, la Corte di giustizia ricordò al mondo del pallone che non poteva stare fuori delle norme comunitarie e più in generale che la dimensione del calcio si coniuga ormai a livello europeo. Oggi i calciatori sono europei, i tifosi stessi si appassionano ai destini delle squadre dell’intero Vecchio Continente e soprattutto i più giovani non fanno differenza tra squadre dello Stato di appartenenza e quelle di altri Paesi. Per non dire degli sponsor, abituati a ragionare a livello sovranazionale per promuovere i loro prodotti.

Nonostante tutto questo, i campionati rimangono nazionali. Una contraddizione che non reggerà a lungo. Da anni, i grandi club spingono per varare una Superchampions League chiusa, senza retrocessioni e promozioni. Una competizione riservata ai più ricchi e potenti.

Per scongiurare questa prospettiva, che la crisi post-covid ha contribuito ad accelerare perché si è allargata la forbice di possibilità economiche tra le squadre top e le altre, è urgente pensare a un campionato europeo per club già dalla stagione 2022-2023, con diversi gironi di 20 squadre. Totale: 80 squadre scelte seguendo il ranking Uefa alla fine della stagione 2021-2022. Le prime due di ogni girone accederebbero ai playoff che, attraverso quarti di finale, semifinali e finale, assegnerebbero il titolo di Campione d’Europa.

Le ultime due di ogni girone retrocederebbero e entrerebbero nel campionato d’Europa le squadre vincitrici dei campionati nazionali.

Anche le otto promosse al massimo campionato d’Europa verrebbero scelte dopo i playoff.

Un’altra soluzione sarebbe quella di organizzare direttamente quattro serie, A, B, C, D per un totale di ottanta squadre (sempre sulla base del ranking dell’Uefa della fine stagione 2021-2022) con retrocessioni e promozioni a fine di ogni stagione.

Fantacalcio? in una recente intervista al quotidiano francese Le Monde Michel Platini, l’indimenticato campione che ha saputo più di altri interpretare l’evoluzione del calcio giocato e la conseguente organizzazione (sua l’idea di svolgere l’Euro 2020 in 12 città di 12 diversi Paesi europei) ha fatto proprio questo progetto che abbiamo lanciato il 9 maggio scorso sull’Huffington Post.

Interrogato circa la possibilità di rivedere un giorno squadre meno dotate economicamente come Steaua Bucarest (nel 1986) o Stella Rossa di Belgrado (nel 1991) salire sul trono europeo, Platini ha senza tentennamenti risposto: «Penso che per rivedere ai vertici, ad esempio, una Stella Rossa di Belgrado, bisognerebbe organizzare una competizione europea con varie serie, con retrocessioni e promozioni, con gli stessi diritti televisivi suddivisi tra tutti i partecipanti. Oggi assistiamo ad un sistema che dà sempre più soldi a chi vince. C’è un premio alla vittoria. Non siamo in un sistema equilibrato, ma in un sistema dove il più ricco riceve di più». Per poi aggiungere: «Penso che un giorno arriveremo ad un campionato europeo con varie serie. Nancy (il club del suo esordio, ndr) giocherà forse in seria D europea contro, ad esempio, Sarrebruck o Timisoara».

Nel calcio, forse ancor più che nella politica, i conservatorismi sono molto forti. Tuttavia una riforma oggi è ineludibile, necessaria, obbligatoria. Perché lo sport non perda l’essenza del suo essere: la meritocrazia. L’uguaglianza dei punti di partenza. Stesso budget per tutti e vinca il migliore. E chissà che magari non sia il calcio femminile (ancora più provato di quello maschile dagli effetti della pandemia), più moderno e aperto, meno legato a logiche di supposte aristocrazie, a indicare la strada al mondo del pallone europeo.

Leggi anche