Le celebrazioni per il centenario della morte di Giuseppe Di Vagno

Gianvito Mastroleo

Il duemilaventuno è l’anno del Centenario dell’assassinio di Giuseppe Di Vagno, il giovane parlamentare socialista, nato nel 1889 a Conversano, colpito a morte a Mola di Bari la sera del 25 settembre, dove spirò il mattino successivo fra le braccia dell’anziana madre e della giovanissima sposa, avendo al suo fianco i suoi compagni più fidati: fra i quali Giuseppe Di Vittorio.

Uno degli episodi della strategia della violenza che la componente più rozza del movimento impose al nascente fascismo e che s’indirizzò, simbolicamente e per la prima volta nella storia, verso un Deputato eletto da popolo: fu il primo, ma non sarà l’ultimo.

La Fondazione che di Di Vagno porta il nome si accinge ad onorare la ricorrenza attraverso un programma che ha ricevuto il suggello del Governo e del Parlamento della Repubblica con l’istituzione del Comitato Nazionale per il Centenario che accanto ai promotori, Presidente della Regione Puglia, Sindaci di Conversano, Mola e della Città metropolitana di Bari, Presidente della Fondazione, vede Autorità dello Stato ed esponenti dell’Italia democratica e antifascista.

Il Centenario Di Vagno sarà, innanzitutto, un’operazione di rievocazione storica, ma anche di Memoria. Nella consapevolezza del forte legame tra Storia e Memoria, ma anche dell’antico conflitto tra la Storia come conoscenza accertata del passato e la Memoria come «funzione psichica viva e palpitante, ma nello stesso tempo finestra mentale più aperta all’errore e alla falsificazione, perché c’è un patrimonio personale di ricordi e immagini […] continuamente rielaborato».

Ma con doveroso rispetto verso la funzione della Memoria, continua rielaborazione di fatti e di idee e, ad un tempo, al valore della Storia che serve a fissare il legame tra passato e futuro, ad isolare il più possibile la scomparsa di futuro e il vivere su un eterno presente, che è la sindrome inquietante degli italiani di oggi.

Troppo spesso, invece, la Storia viene confusa con la Memoria «per sfumare le durezza dei fatti nelle incerte nebbie di una facoltà umana governata dalla legge dell’ottimismo», mentre l’attenzione alle pagine della nostra storia spesso viene riproposta e incoraggiata come una forma di pietas, un atto di giustizia postuma, un risarcimento dovuto ai dimenticati, come insegna Adriano Prosperi.

Laddove, nella sostanza, non dovrebbe esserci altro che un mai più un medesimo impegno per l’oggi e per il domani.

Giuseppe Di Vagno va ricordato come una meteora «[…] nella storia dell’antifascismo italiano, dove si collocano tante personalità di rilievo. Tra queste, la figura tutt’ora viva di Giuseppe Di Vagno, deputato socialista nato nel 1889 e assassinato a Mola di Bari per mani fasciste il 25 settembre 1921. Ripensare quel tempo cruciale e terribile della storia nazionale, la personalità e il martirio del deputato poco più che trentenne può aiutare i contemporanei, e soprattutto le giovani generazioni, a rafforzare e ritrovare quella passione civile che è il nutrimento essenziale di ogni libertà».

A cent’anni dall’assassinio appare, dunque, necessario aggiornare il bilancio degli studi nazionali e internazionali sulle origini del fascismo, non dimenticando la proiezione nella contemporaneità, purché al riparo da ogni tentativo giustificazionista, peggio negazionista.

In particolare, si ritiene importante una riflessione aggiornata sul «blocco storico 1919-1922» e sull’uso della violenza come strumento politico finalizzato alla conquista del potere, nel quadro più vasto della storia nazionale e internazionale del ventesimo secolo, attraverso un rinnovato dibattito scientifico aperto al contributo di studiosi di diverso orientamento culturale e politico, nella convinzione che solo un confronto trasparente e senza preclusioni di principio piò contribuire ad una conoscenza più approfondita.

Un evento al riparo dalla retorica, dunque, una vera maratona storica tra lezioni, seminari, mostre e convegni destinata a durare per il 2021 con un’appendice nel 2022 anche per l’opportuna diffusione dei risultati del lavoro svolto con pubblicazioni tradizionali e digitali e la partecipazione attiva di storici e intellettuali di varia matrice e provenienza.

Le iniziative saranno annunciate, promosse e trasmesse sui canali d’informazione usuali per la Fondazione e si realizzeranno tra Bari, Roma, Milano, Fratta Polesine, Conversano, Mola, altre città della Puglia e in collaborazione con varie Istituzioni: innanzitutto la Camera dei Deputati e le Fondazioni che rimandano alla medesima tradizione, come Casa Museo e Fondazione Matteotti tra Fratta Polesine e Roma,  Fondazione Nenni, ANPI, la Rete degli Istituti per la ResistenzaIstituto Parri di Milano, IPSAIC; ma anche altri, per consolidare la non occasionale collaborazione fra coloro che nel mezzo di non poche difficoltà e sacrifici cercano di tenere viva la memoria del socialismo italiano, della resistenza e dell’antifascismo, parte essenziale della storia d’Italia, affinché quella visione del mondo resti nel presente e possa proiettassi nel futuro.

Partendo dall’Italia e verso l’Europa s’intravede un panorama inquietante il cui pericolo non risiede tanto nelle piccole organizzazioni (pur in crescita numerica e politica) che dichiaratamente s’ispirano al fascismo storico, quanto in un diffuso clima d’indifferenza, mal sopportazione e di vero odio con segnali inquietanti di qualcosa di somigliante, come replica o forma aggiornata del passato: controllo pervasivo dei media, discriminazioni di varia natura, intimidazione verso i corpi intermedi, sindacati, magistratura, liberi sodalizi civili e culturali.

Ma anche la tendenza a cancellare o ridurre al minimo le garanzie sociali. Cui si associa un «regime di polizia», nel quale la prevenzione diventa alibi per impedire la libera dialettica politica, un corporativismo che pretende di soffocare il naturale conflitto fra le genti e le generazioni sostituendolo con pratiche di collaborazione: che essendo tra soggetti disuguali si manifesta come forma di oppressione. Tendenza prevalente in Ungheria, in Polonia, in altri Stati nati dell’Est del Continente.

Questo Centenario, dunque, sarà l’occasione per una verifica se davvero il caso Di Vagno fu la fase cruciale dello scontro in seno al fascismo, nei mesi a cavallo della trasformazione del movimento in partito, intorno alle strategie utili per raggiungere il potere; «uno scontro che in particolare toccava la questione degli equilibri e del rapporto con il cosiddetto partito d’ordine liberal-borghese», che almeno in Puglia era prevalentemente urbano, oltre che al modo attraverso il quale mantenere le simpatie, che il fascismo era riuscito a conquistare, dell’elettorato ‘benpensante’ di quella parte politica”, come scrive Cesare Preti; viste anche le reazioni che il crimine del settembre 1921 provocò proprio tra questi ‘benpensanti’ «il cui precedente atteggiamento nei riguardi dei Fasci di combattimento era stato sempre nettamente simpatizzante».

Vi era chi pensava, infatti, che il fascismo agrario e lo squadrismo, composto «anche di gente pregiudicata e di malavita, assoldata perché incendiasse o aggredisse o uccidesse», aveva traviato quel fascismo che «nella mente degli ideatori significò opposizione alla travolgente azione bolscevica», nobile forma di resistenza al leninismo e quindi alle origini dotato di «finalità, che noi non esitiamo neppure oggi a definire morali».

E dunque, un tragico evento di portata nazionale che con la torsione imposta al fascismo ne cambierà il corso, segnandone il successivo tragico percorso: come da ultimo é stato chiaramente narrato nella puntata di Passato e  Presente di RAI3 dello scorso 12 marzo, curata da Paolo Mieli ed Emilio Gentile: nella quale la vicenda Di Vagno entra dalla porta principale dell’analisi storica, più che da quella secondaria come altre volte accaduto nel passato.

Come, del resto, suggella l’istituzione del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario da parte del Ministro, previo parere delle Commissioni Cultura di Camera e Senato.

Il programma per il Centenario rivolge particolare attenzione alle Scuole Secondarie, con lezioni loro dedicate e con un Certamen tra studenti e fra scuole, ma anche all’Accademia e all’Università di Bari: nella convinzione che sia necessario sostenere i giovani nell’attualità, garantire la trasmissione delle conoscenze, il racconto storico tramandato dalle precedenti generazioni attraverso un vero e proprio percorso fatto di incontri, relazioni, testimonianze, mostre e seminari incentrato sul libero confronto delle idee, perché solo in questo modo si riesce a saldare passato e futuro.

Ma è nelle intenzioni della Fondazione Di Vagno rendere attuale la lezione democratica che tramanda quella giovane esistenza barbaramente stroncata.

Ce ne sarebbero molte ma quella, se possibile, più attuale nell’epoca difficile e straordinaria che la pandemia da Covid-19 sta facendo vivere al mondo intero, è l’insegnamento prezioso in particolare per le giovani generazioni: Di Vagno, assieme alla sua famiglia, fu antesignano del processo definito di ascensore sociale, verso il quale il nostro paese oggi è in forte debito. Del quale già un secolo addietro fu incubatore La Sapienza, l’Università romana nella quale Di Vagno si laureò nel 1912 e che è fra le più antiche del mondo: e si concretizzò non solo nella crescita politica e preparazione ad una professione intellettuale di chi figlio di avvocato non era, ma fu soprattutto formazione della coscienza critica per la quale il giovane Di Vagno, studente liceale e figlio di agricoltori, aveva dimostrato forte predisposizione nel liceo-seminario di Conversano.

Un messaggio ancor più attuale nella crisi educazionale contemporanea quando i giovani stanno accumulando un fortissimo credito formativo (che ormai definiremo da Covid-19) per superare la quale occorre un impegno di pari eccezionalità delle istituzioni nazionali ed europee non ignorando, tuttavia, che molto, anzi moltissimo, dipende dagli stessi adolescenti e dalle loro famiglie.

L’Italia già nel 2018 era fanalino di coda per numero di laureati, mentre, secondo le statistiche più recenti, circa i due terzi della popolazione di oggi teme che i propri figli non raggiungano il livello sociale e, dunque, economico dei loro padri.

Se è vero che oltre un secolo addietro i genitori del giovane Di Vagno ebbero fiducia, scommisero che con i loro sacrifici avrebbero saputo mettere a profitto le potenzialità del loro promettente figliolo, oggi è dovere primario innanzitutto dello Stato far emergere tutte le potenzialità per convincere i genitori ad avere fiducia, a scommette sul futuro facendo in modo che quella platea di laureati possa crescere a misura dei bisogni della società che aumentano e si sviluppano di giorno in giorno.

Nella tradizione ebraica si dice che c’è un’isola dove le persone vivono e muoiono quando non c’è più nessuno che le pensi, e che una persona muore solo quando non viene ricordata.

Pensiamo anche noi che ricordare Giuseppe Di Vagno, ieri come oggi, sia innanzitutto un obbligo verso la Storia.

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