La Strage di Bologna e la giusta distanza del cinema

Giorgio Simonelli

Per la strage di Piazza Fontana il riferimento cinematografico è il film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage, un film non esente da difetti ma che, con una solida drammaturgia, ricostruisce con puntualità la terribile vicenda. Per la strage di Ustica i film sono due: quello più recente di Renzo Martinelli che rielabora storia e personaggi con una certa fantasiosa disinvoltura, tipica del regista, e quello toccante e coraggioso di Marco Risi, Il muro di gomma, che risale al lontano 1991 e squarcia, grazie al lavoro di Andrea Purgatori, il velo dietro al quale molti responsabili avevano cercato di cercato di nascondere il misfatto: questo è il muro a cui accenna il titolo.

Per la strage di Bologna, invece, nell’ambito del cinema, che – ricordiamolo – ha un ruolo fondamentale nella costruzione e nella conservazione della memoria, un punto di riferimento definitivo non esiste. O meglio ce ne sono tanti, ma sparsi e un po’ fragili. C’è un film poco noto di Giorgio Molteni e Daniele Santamaria Maurizio, I giorni della collera, che rievoca la storia dei NAR, le loro delittuose imprese fino a quella più grande. C’è un altro film di Aldo Balzanelli e Emilio Marrese, La linea gialla mai uscito nelle sale, basato su un’idea molto suggestiva: si immagina che Angela Fresu, la più giovane delle vittime, di soli tre anni, il cui corpo dilaniato non fu mai recuperato, ritorni orami adulta, impersonata da Valentina Ludovini, sui luoghi che le furono fatali.

C’è un mediometraggio di Massimo Martelli del 1992, Per non dimenticare, in cui uno stuolo di bravi attori, da Giuseppe Cederna a Angela Finocchiaro, da Gianni Cavina a Sergio Fantoni, da Giuliana De Sio a Mirella Valentini, mette in scena gli ultimi momenti della vita di alcune delle 85 vittime. Opera di grande impegno civile cui attori e autori collaborarono gratuitamente a sostegno dell’associazione dei familiari delle vittime. C’è, più recente, un documentario di Roberto Greco, Il 37, che raccoglie le testimonianze dei primi soccorritori, i vigili del fuoco che utilizzarono l’autobus numero 37 per raccogliere i morti e i feriti.

Poi ci sono i film che evocano la strage da lontano: ovviamente il Romanzo criminale di Placido e, in modo struggente, Da zero a dieci di Ligabue, in cui il weekend riminese dei tre vecchi amici alla ricerca di un tempo perduto è un tentativo di colmare un vuoto di tanti anni prima, un altro weekend a cui un quarto amico fu atteso invano. Era alla stazione di Bologna.

Inevitabile, a questo punto, chiedersi il perché di questa dispersione, di questa tendenza ad affrontare la tragedia lateralmente piuttosto che guardando dritto negli occhi. Credo che il problema sia proprio quello dello sguardo, della visione. Non un problema politico, dato che quello che di pericoloso e infamante si è nascosto a Bologna non è diverso da quello che c’è stato a Ustica o a Piazza Fontana. Neppure un problema etico: il pudore che impedisce di addentrarsi con la finzione in una materia troppo carica di dolori veri e vivi. Ma un problema di autenticità visiva.

Della strage di Ustica non esistono per ovvi motivi immagini delle vittime, di quelle di Piazza Fontana ci sono scarne immagini in un antico bianco e nero. Di Bologna esistono immagini terribili di macerie, di morti, di feriti, girate da operatori locali e mandate in onda nel corso di una puntata di La notte della Repubblica da Sergio Zavoli parecchi anni dopo con un impatto violentissimo, indimenticabile. Ancora oggi a chi le cercasse in rete sono proposte con un avvertimento: se ne sconsiglia la visione a persone facilmente suggestionabili. A queste si aggiungono le immagini delle celebrazioni funebri ufficiali, l’arrivo delle autorità, il subbuglio della piazza, l’intervento durissimo del presidente Pertini, immagini che dicono, se non tutto, molto sul versante della lettura politica dell’evento.

Credo sia la presenza incancellabile nei nostri occhi di queste immagini, la loro eloquenza, il loro peso a tratti insostenibile a tenere le rappresentazioni di quella tragedia a una ponderata e forse giusta distanza.

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